Jimmy Gimenez, ex Lugano e Basilea, ci parla dell'Argentina e del suo lavoro di procuratore
«Mi manca competere perché è qualcosa che ho sempre avuto dentro, ma cerco di compensare facendo altri sport e attività. L'Albiceleste? Grande mix, ha assorbito tante caratteristiche dal calcio spagnolo».
BUENOS AIRES - «Sono sempre stato un caparbio lavoratore, è qualcosa che mi aiuta moltissimo anche oggi nel mio ruolo di procuratore». Parola di Christian Jimmy Gimenez, ex attaccante argentino che ha lasciato ricordi indelebili anche in Svizzera a Lugano (55 reti in 95 partite) e Basilea (99 in 146). Col mercato in fermento sono settimane intense quelle del 49enne, che ha appena concluso il trasferimento di Augusto Lotti dal Cruz Azul al Platense. In passato, tra le sue operazioni che vogliamo ricordare, c’è stato l’arrivo di Matias Delgado al Basilea e Balanta al Bruges.
«È un lavoro che mi soddisfa e mi trovo bene, ma sotto sotto mi manca lottare per vincere le partite come si faceva in campo - ci spiega Jimmy, abituato a fare la spola tra Ticino e Argentina - Mi manca competere, è qualcosa che ho sempre avuto dentro. Ora cerco di compensare facendo altri sport e attività. L’agonismo calcistico lo vivo “da fuori” coi giocatori che seguo nelle squadre, ma non è la stessa cosa. Purtroppo non posso influire direttamente sui risultati (ride, ndr)».
Però, come un fratello maggiore, può influire aiutando e consigliando i giovani nel loro percorso. Giocatori che bramano l'approdo nel grande calcio.
«Direi più come un papà. Questo perché la figura del fratello maggiore a volte non “arriva”. Non ti ascoltano. Grazie all’esperienza si può far capire ai ragazzi come vivere certi aspetti del calcio. L’approccio a questo mestiere. Non è sempre facile. Non basta solo il talento, ma servono un mix di fattori. Per me un aspetto chiave è la testa. Avere la maturità per iniziare a pensare come un adulto, per il bene della propria carriera. Da fuori arrivano troppi stimoli che talvolta possono avere risvolti negativi. Penso ai primi soldi che possono illudere e far perdere la rotta, ma anche ai social. Io ai ragazzi chiedo sempre di dare il massimo perché le capacità fisiche e tecniche da sole non sono sufficienti. Almeno nella maggior parte dei casi. Serve anche “cervello”. L’obiettivo è crescere e fare poi il grande passo approdando in Europa».
I talenti in Argentina di certo non mancano. Ad immagine della Nazionale di Scaloni, che ha vinto i Mondiali in Qatar e le ultime due edizioni della Copa América.
«È una Nazionale vincente e un po' particolare. Mi spiego. Di base ci sono tecnica, personalità e conoscenza tattica, ma poi l’Albiceleste ha assorbito tante caratteristiche dal calcio spagnolo. In molti, penso più della metà, hanno giocato nella Liga o sotto la guida di allenatori iberici, carpendo quella che, ad oggi, reputo la miglior filosofia di gioco. Non a caso la Spagna ha vinto alla grande gli Europei, mostrando il miglior calcio. Insomma l’Argentina negli anni è cresciuta e si è creato un mix importante. Nella finale di domenica con la Colombia (finita col 16esimo trionfo in Copa América dell’Albiceleste, ndr), stavamo soffrendo a livello fisico. Poteva mettersi male. Invece hanno avuto la forza e trovato le giocate giuste per decidere la sfida con Lautaro. Gol nato dal lavoro a centrocampo, l’imbucata di Lo Celso e movimenti allenati anche grazie a influenze esterne. In ottica 2026 perdere Messi sarebbe un duro colpo, ma resto ottimista. Il vero problema del ricambio verrà probabilmente dopo quella kermesse».
Per molti c'è stata la definitiva consacrazione - anche a livello internazionale - di Lautaro Martinez.
«Torno al discorso della mentalità. Lautaro e Julian Alvarez ne sono un ottimo esempio. Il centravanti moderno, oltre a fare gol, deve avere quella flessibilità calcistica per sostenere anche in fase difensiva. Non basta più fare un ruolo e limitarsi unicamente a quello, ma bisogna capire come aiutare al massimo la squadra. Al di là del talento, il calciatore che fa la differenza è il più intelligente. Che passa senza problemi da un 4-3-3 a un 4-2-3-1 a un 4-4-1-1».
E di astuzia Gimenez ne sa qualcosa.
«Io non sono mai stato “avvantaggiato” dal punto di vista tecnico, ma neanche fisico. Non ero il più veloce né il più alto. Sono 181 cm. Però giocavo molto sull'intelligenza e la caparbietà. Principi che porto avanti anche nel mio attuale lavoro con l’agenzia G&G 13 SPORT».