«Nel 1992 i danesi li richiamarono quando erano già in spiaggia a Ibiza»
Arno Rossini: «Se c’è dedizione, anche un gruppo di gregari può farcela»
STOCCARDA - Attesissimi alla vigilia, quasi mai visti all’Europeo. È la storia degli uomini-simbolo delle varie selezioni i quali, fino a questo momento almeno, raramente hanno ricordato ai tifosi di star muovendosi nel torneo tedesco. Di Mbappé si è parlato soprattutto per il naso rotto. Di Ronaldo per l’“urlo” che lancia prima di calciare le punizioni e per il pianto dopo il rigore sbagliato contro la Slovenia. Bellingham ha avuto un paio di guizzi, è vero, ma quasi nient’altro. Gli altri? Poca roba. I campioni, quando arrivano?
«Effettivamente fatico a indicare l’uomo-simbolo del torneo - ha sottolineato Arno Rossini - Nessuno è fin qui riuscito a lasciare il segno con continuità».
Aspettative troppo grandi?
«No, credo piuttosto che dipenda dal grande equilibrio che regna in Germania, dove la maggior parte delle squadre pensa prima di tutto a chiudere gli spazi. E comunque si muove con grande intensità. Così è difficile emergere, anche se stampato sulla maglietta hai un nome importante».
Spagna a parte, che con il suo gioco e i suoi giovani ha fin qui convinto dimostrando di essere un gradino sopra a tutti, le big - e i rispettivi uomini simbolo - non hanno entusiasmato.
«Vero, eliminazioni a parte, gli applausi più convinti li hanno ricevuti selezioni partite non in prima fila ma che con il gioco e l’applicazione hanno saputo entusiasmare. L’Austria, ma anche la Danimarca, la Slovacchia, la Slovenia e, ovviamente, la Svizzera. Con un atteggiamento propositivo, la giusta aggressività e grande organizzazione hanno ovviato all’assenza del campionissimo. Di quel campionissimo che, appunto, finora ha fatto cilecca. Ma non è un caso: proprio sapendo di non poter contare sul fenomeno “da copertina”, sono partite da lontano puntando sul collettivo. Ed è sempre il collettivo che ti fa vincere».
Consumati gli ottavi, i grandi del pallone hanno ancora tempo per lasciare il segno sull’Europeo?
«Assolutamente. Anzi, ora cominciano le “loro” partite. Quelle più complicate da affrontare e nelle quali le occasioni diminuiscono. I campioni sono tali proprio perché sanno decidere sfruttando anche il più piccolo spazio; questo è il loro momento. Sarà probabilmente uno di loro a “segnare” il torneo».
Ciò significa quindi che chi ha puntato sul collettivo non ha chance?
«Ne ha meno. Nel recente passato qualche selezione senza star è arrivata fino in fondo».
L’ultima Italia, la Grecia nel 2004, la Danimarca nel 1992…
«Quei danesi li richiamarono quando già erano in spiaggia a Ibiza (la selezione scandinava fu “ripescata” al posto della Jugoslavia, estromessa per la guerra intestina che la stava dilaniando, ndr). Esempi ce ne sono. Nel calcio come in ogni sport. Come gli Stati Uniti campioni olimpici nel 1980… La dedizione batte sempre il talento. Se c’è dedizione anche un gruppo di gregari può farcela».