«L’Italia non sarà grande per anni»
Arno Rossini: «Deschamps forse non aveva più gli stimoli di un tempo».
BERLINO - Quasi un mese fa, ai nastri di partenza, erano in ventiquattro. Domenica sera ne sarà rimasta una sola. Questo vuol dire che, in un Europeo che sta velocemente avviandosi alla conclusione, ventitré contendenti torneranno a casa scornate?
«C’è sconfitta e sconfitta - è intervenuto Arno Rossini - non tutte le “eliminate” si possono mettere sullo stesso piano».
L’Italia è stata una delusione, non ci sono dubbi. Ma pure la Francia non ha vinto. E il Belgio? E la Croazia? E il Portogallo? E la Germania? E la Romania?
«Proviamo a fare ordine. Per come la vedo io, visto che - appunto - il trofeo lo metterà in bacheca solo una nazionale, sono due le “componenti” indispensabili perché una spedizione debba essere considerata una delusione: il mancato raggiungimento dell’obiettivo prefissato alla vigilia e la povertà del gioco espresso. Le critiche le meritano solo le selezioni che hanno fallito su tutta la linea».
La Germania non può dunque essere criticata?
«Nonostante la squadra giovane e il selezionatore in carica da poco tempo, probabilmente la Federazione si aspettava che la squadra facesse più strada. Che arrivasse almeno alle semifinali. La Mannschaft è però uscita perché ha incrociato una Spagna fortissima: con un’altra avversaria avrebbe invece avuto buone possibilità di superare i quarti. In quanto al gioco, mi pare che la truppa di Nagelsmann si sia mossa bene, abbia mostrato idee chiare e voglia. Nessuna bocciatura, quindi. E niente bocciatura pure per le piccole, che si sono tutte battute con entusiasmo e che, comunque, già avevano festeggiato il fatto di essere presenti in Germania. Il discorso è diverso per le big che non sono riuscite a dare il massimo».
La Francia semifinalista?
«È partita per vincere l’Europeo. Non lo ha fatto e in più non ha mai giocato bene. Per me c’è poco da salvare. E credo che allo stesso modo la pensino i dirigenti della Federazione che, dopo dodici anni, stanno seriamente valutando se sostituire Deschamps. Didier è bravo, ma forse non aveva più gli stimoli di un tempo. È qualcosa di fisiologico».
Belgio, Croazia, Portogallo, Italia…
«Situazioni diverse tra loro ma in fondo simili. Tutte presentatesi in Germania con grandi aspettative, sono riuscite a fare solo il pieno di critiche. Penso che in quei Paesi sia giunto il momento di voltare pagina e ripartire».
Voltare pagina implica una ricostruzione. E quando si ricostruisce non si può pensare di vincere subito.
«Diavoli rossi, scaccati e lusitani sono arrivati alla fine di un ciclo. Hanno dei talenti dietro i grandi vecchi schierati all’Europeo, quindi possono pensare di ripartire con ambizione. Servirà un po’ di tempo ma nemmeno troppo, se si lavora bene».
Gli azzurri…
«Il discorso in questo caso è diverso. I mali del calcio della vicina Penisola arrivano da lontano, hanno radici profonde. Per rialzarsi, in Italia dovrebbero riformare tutto il sistema, cambiando la “testa” dei dirigenti. Centri di formazione, lavoro sui settori giovanili, un campionato con meno stranieri… dovrebbero ripartire da questi punti fondamentali».
La strada è tracciata.
«C’è un problema: l’Italia ha già mancato due Mondiali, non si può permettere di non qualificarsi nemmeno a quello del 2026. Per questo motivo la Federazione non può pensare di fare piazza pulita in nazionale ripartendo in toto dai giovani. Credo che alla fine troveranno la solita via di mezzo: promuoveranno i ragazzi più interessanti, cercheranno qualche altro giocatore di spessore in giro per il mondo - come Retegui - e comunque terranno gran parte del gruppo che ha fatto l’Europeo».
E Spalletti?
«Grande allenatore per i club. Per la nazionale non so: non so se il suo metodo di lavoro è produttivo avendo i calciatori a disposizione solo per qualche giorno ogni tanto».
Il fatto di non poter fare la rivoluzione rallenterà però il processo di rinnovamento…
«È sicuro. Obbligati a mantenere un livello minimo accettabile per provare a qualificarsi al Mondiale, anche se riusciranno a non sbagliare nulla, in Italia non avranno comunque una grande squadra per anni. Quattro-sei, come minimo».
Niente notti magiche, quindi?
«Gli azzurri non potranno pensare di essere competitivi prima dell’Europeo del 2028 o, più probabilmente, del Mondiale 2030».