«Qualche sberla non fa male».
«Siamo al top, riposati. Tra un paio di settimane saprò dirvi se questo è un bene o un male».
GINEVRA - Il Friborgo, con il quale si è formato e ha chiuso la carriera, il Lugano, con il quale ha vinto il titolo, e il Ginevra, con il quale ha giocato a lungo e che ora guida, sono le tre squadre della “vita” per Jan Cadieux. Le prime due si sono sfidate in un preplayoff intenso ma che alla fine ha dato un verdetto netto. La terza è quella che… ha seguito con estremo interesse quella sfida.
Tra vecchi amori e attuali preoccupazioni, il coach delle Aquile avrà pure avuto un “momento nostalgia”...
«Per nulla - ci ha interrotti proprio Cadieux - È vero, Friborgo, Lugano e Ginevra hanno segnato praticamente tutta la mia carriera e la mia vita e non posso che ringraziarli: sono infatti diventato quel che sono proprio grazie alle esperienze maturate con queste tre società. Detto ciò… ora sono l’allenatore alle Vernets. E quando volto pagina, chiudo un capitolo, non sono abituato a guardarmi troppo indietro: non c’è spazio per i sentimenti. La serie tra Dragoni e bianconeri l’ho seguita solo per studiare i nostri prossimi avversari».
Che si sono presi la postseason con gli artigli. Il Ginevra ha invece chiuso i conti con largo anticipo.
«Quella vissuta nell’ultimo mese è per noi stata una situazione nuova, una via inesplorata: negli ultimi anni siamo infatti sempre stati costretti a lottare a lungo per accedere ai playoff. In questa stagione abbiamo invece avuto la certezza della qualificazione con otto-nove giornate di anticipo. E forse non eravamo mentalmente preparati a tanta abbondanza. Con questo si spiega la nostra frenata degli ultimi turni. Anche se, per essere precisi, l’unico match nel quale abbiamo fatto male è stato quello contro lo Zugo. Credo comunque che quei rovesci siano serviti: qualche sberla non fa male. E poi penso che non sia possibile mantenere lo stesso livello per 52 partite».
Di sicuro c’è che, a differenza del Lugano, nell’ultima settimana avete potuto ricaricare un po’ le pile.
«L’anno scorso abbiamo perso nei preplayoff proprio con il Lugano. Perché? Uno dei motivi di quell’eliminazione è che siamo arrivati a quella serie un po’ scarichi. Abbiamo fatto trenta partite, da novembre in avanti, a tutta - consumando tante energie fisiche e mentali - per qualificarci e abbiamo pagato lo sforzo proprio nei match contro i bianconeri. Ora invece siamo al top, riposati. Tra un paio di settimane saprò dirvi se questo è un bene o un male».
Vincere la regular season porta in realtà solo gloria, se è vero che poi nei playoff si riparte da zero. O quasi.
«Vale… il vantaggio del fattore campo. E poi ti dà delle certezze che altrimenti non avresti: quella di giocare un buon hockey, per esempio. Essere davanti a tutti dopo 52 giornate non accade infatti per caso. Quindi ti puoi presentare ai quarti di finale “in fiducia” e portando con te le cose buone fatte nei sette mesi precedenti».
In quanto a postseason, Luca Gianinazzi è inesperto (la stessa domanda l’avevamo posta a Christian Dubé); questo potrebbe condizionare il Lugano? «È inesperto? Non conta. Anzi, è meglio. Fino a questo momento Luca, che può comunque contare su un assistente di spessore come Matti Alatalo, ha fatto bene. E non c’è ragione per pensare che non possa far crescere ulteriormente un Lugano che ha già migliorato. Credo che il suo non avere alle spalle decine di match di playoff sia una bella cosa, sia per lui motivante a fare di più e sempre meglio. Non ha molto da perdere e, anzi, può far sì che le nuove emozioni diventino un punto di forza».