L'iberico occupa attualmente il sesto posto nella generale (95 punti), 61 lunghezze in meno del leader Quartararo (156).
Dal nostro corrispondente, Leonardo Villanova.
Una rottura netta, totale. Inspiegabile ma anche no, conoscendo il personaggio Maverick Viñales. Già nel 2012, da un giorno all’altro alla vigilia del GP della Malesia, il pilota spagnolo aveva rotto il contratto con il team Honda Blusens, mentre da secondo era in piena lotta per il Mondiale 125, e che 9 anni dopo manda in scena la stessa storia.
Un personaggio strano, Maverick, le cui origine gitane probabilmente gli impediscono di sentirsi in pace con sé stesso e con quello che lo circonda per un periodo sufficientemente lungo. Pieno di dubbi nei confronti del mondo esterno e di certezze su sé stesso. «A Maverick servirebbe uno psicologo che lo aiuti a trovare un equilibrio vero», è il ritornello che viene ripetuto da anni nel paddock. Ne ha avuto uno per poco tempo, ma non ha funzionato, troppo ancorato alle proprie tradizioni, al nucleo di appartenenza, per fidarsi di un esterno. Doveva diventare il nuovo leader della Yamaha, dopo che Iwata aveva scaricato Valentino Rossi mandandolo a svernare (male) in Petronas, invece sono bastati pochi mesi di convivenza con Fabio Quartararo per mandare in crisi il Top Gun.
Allegro, simpatico e sempre di buon umore il francese, che ha impiegato pochissimo tempo a conquistarsi l’affetto della squadra. Introverso, silenzioso, pieno di dubbi e insicurezze lo spagnolo, al quale neanche la nascita di Nina alla vigilia del Mugello è servita a dare tranquillità. Con un Lin Jarvis, managing director della Yamaha, che fa del pragmatismo una ragione di vita e che in Quartararo sembra aver trovato il leader del futuro, e un Maio Meregalli – il team manager – che a lungo andare non è più riuscito a controllarne i continui alti e bassi umorali e agonistici, Vinales ha iniziato sempre più a sentirsi spaesato in quella squadra che aveva scelto cinque anni fa, abbagliato dai sogni di diventare campione del mondo, invece di provare a seguire in Suzuki quella strada che ha invece portato lo scorso anno Joan Mir a sedersi sul trono.
Non ha retto la pressione, Maverick, di essere il leader di una Yamaha nella quale le emozioni non trovano spazio, così come di dovere confrontarsi, dopo Valentino, con un altro molosso che vince e martella a suon di sorrisi. Potrebbe andare in Aprilia, conquisterà qualche podio con una moto che è cresciuta, magari riuscirà a portare Noale alla vittoria, ma per il Mondiale, quello dal quale ha appena deciso di scendere è un treno che difficilmente ripasserà. E per un pilota dal talento incredibile, questo è un peccato imperdonabile.