L'unico azzurro a conquistare un Mondiale di Formula 1 al volante di una rossa è stato Alberto Ascari, riuscitosi in due occasioni.
Nel 1985 Michele Alboreto andò vicino all'exploit, ma fu Alain Prost a salire sul gradino più alto del podio.
MARANELLO - Il 23 agosto 1953 a Bremgarten, a una ventina di chilometri dal centro di Zurigo, Alberto Ascari vinse uno dei rari Gran premi di Svizzera della storia, conquistando con una gara d’anticipo il suo secondo titolo Mondiale.
Sono passati 70 anni e nessun pilota italiano è più diventato campione del mondo. Ci hanno provato in tanti, addirittura in 98 secondo le statistiche ufficiali, ma nessuno è riuscito a eguagliare Alberto Ascari che rimane così il primo e l’ultimo pilota italiano ad aver conquistato il campionato del mondo guidando una Ferrari. Ci sono andati vicini Michele Alboreto (sulla rossa) e Riccardo Patrese (Williams), arrivati secondi in campionato nel 1985 e nel 1992, battuti da Prost e da Mansell, ma nessuno è più riuscito nell’impresa centrata da Farina nel primo campionato (su Alfa Romeo) e poi due volte di fila da Ascari. Quello che all’inizio sembrava uno sport dominato dagli italiani non ha più festeggiato un campione nato nella vicina penisola, anche se il mitico Mario Andretti contesta la statistica perché lui, diventato campione nel 1978 è americano di passaporto e residenza, ma è nato in Italia – a Montona – che nel 1940 era italianissima e oggi è invece geograficamente croata. Mario che ha conservato il cuore italiano, lo ripete sempre: “L’ultimo campione italiano sono io”. Ma la realtà è che quando vinceva un gran premio suonavano l’inno americano e non quello di Mameli e accanto al suo cognome in tutti i libri ufficiali c’è la bandierina a stella e strisce e non il tricolore che anche lui ama.
Così, con tutto il rispetto per il cuore di Mario, teniamoci questo digiuno infinito lungo 70 anni con la prospettiva di vederlo allungarsi anche prossimamente. Perché di piloti italiani oggi in F1 non ce ne sono e i due più promettenti, Kimi Antonelli e Gabriele Minì, sono ancora lontani dal debutto nella massima serie. Ma di chi è la colpa? Ci sono tanti italiani che dominano nelle categorie inferiori, ma poi non riescono a fare il salto di qualità perché a un certo punto manca il budget. Il sistema non è perfetto. Oggi fanno carriera i figli di papà o quei pochi che riescono a trovare uno sponsor (o un mecenate) disposto a seguire la loro carriera fin dall’inizio come fece Ron Dennis con Hamilton o il giovane Nicolas Todt con Charles Leclerc. La Ferrari, poi, non aiuta. Se da una parte abbiamo la squadra endurance trionfatrice alla 24 ore di Le Mans che si è imposta, grazie ad Antonello Coletta, di avere almeno tre piloti italiani sui sei a disposizione, dall’altra abbiamo la Formula 1 che non mette al volante un italiano dai tempi di Giancarlo Fisichella nel 2009. Giovinazzi è stato dirottato sull’Alfa Romeo Sauber prima che Vasseur gli preferisse i soldi di un cinese e quelli di Bottas. La scusa è sempre la stessa: un italiano sulla Ferrari avrebbe troppa pressione. Come se un monegasco e uno spagnolo non ne avessero…