«Croci-Torti grande allenatore, con Petkovic una parola di troppo poteva costarti caro, Zeman fumava due-tre sigarette nell’intervallo»
«La nuova proprietà ha reso solido il club e per questo va ringraziata; Renzetti sapeva però regalare emozioni ben diverse».
LUGANO - Giocatori, allenatore e dirigenti contano tantissimo, ma la vera ricchezza di una società, club o nazionale non fa differenza, sono i tifosi. Come Franco Denti, innamoratosi definitivamente del Lugano dopo un bisticcio con Köbi Kuhn.
«Oggi si chiamano raccattapalle, una volta erano i ball boys. Ecco io ero un ball boy del grande Lugano di fine anni '60-inizio anni '70 - ci ha raccontato proprio il presidente dell'Ordine dei medici del Canton Ticino - Durante una partita contro lo Zurigo il risultato era in nostro favore, non ricordo se si stesse vincendo o pareggiando, e la palla uscì proprio vicino a dov’ero posizionato. Come da ordini del prepartita, in quella situazione temporeggiai un po’ e così fui raggiunto e strattonato da Köbi Kuhn, capitano e bandiera dello Zurigo. A quel punto tutti quelli presenti sulla panchina bianconera, che era lì a pochi passi, si alzarono per difendermi. Ecco, quell’episodio mi fece entrare nel cuore il club. Non ne è più uscito».
Qual è la cosa più pazza che hai fatto o saresti disposto a fare per il Lugano?
«Oh ne ho fatte tante. Me ne viene in mente una in cui il Lugano era ancora Malcantone Agno. Ero il medico sociale del club e ovviamente seguivo le partite dalla panchina. Nel 2003 a Cornaredo, in uno scontro in Coppa Svizzera con lo Young Boys, annullai Stéphane Chapuisat, quello che era forse il miglior giocatore svizzero dell’epoca. A metà primo tempo cominciammo a beccarci e a litigare e continuammo fino alla fine. Noi vincemmo, lui non combinò nulla e al triplice fischio dell’arbitro si mise a rincorrermi. Non mi prese, ero in forma. Ci deve essere ancora qualche filmato in giro. Un altro aneddoto riguarda l’incontro casuale, a circa mezzanotte, nelle vie di Berna, con il Crus. Era la notte prima della finale di Coppa Svizzera del 2022. Ci abbracciammo e lui commentò: “Ci sei anche tu, Doc. Allora vinciamo di sicuro”».
C’è un giocatore che ruberesti o avresti rubato a qualche altra squadra?
«Il portiere Marcel Kunz, quello del Basilea anni '60-'70. Ma non per farlo scendere in campo. Noi avevamo Mario Prosperi che era molto più forte ma che, in quanto ticinese, in Nazionale veniva impiegato molto poco. Kunz era un brocco al suo cospetto: l’avrei preso per tenerlo in panchina a Lugano. Così la maglia numero 1 della Svizzera sarebbe stata tutta per Prosperi».
Come valuti il momento attuale?
«Abbiamo una grande squadra. Con un grande allenatore. Ho conosciuto Mattia Croci-Torti da medico del Malcantone Agno e del Lugano e sono felicissimo per lui. In campo era un bel giocatore, dava sempre il massimo. È metodico e professionale. È uno dei pochi tecnici in grado, con sostituzioni e accorgimenti tattici, di cambiare la partita in corsa».
Cosa pensi della società?
«Bel tema. Non mi fa impazzire, posso dirlo? È un po’ asettica. Non ha empatia. Il distacco dalla piazza è percepibile ed è un peccato. Danno l’impressione di essere dei professori. Sembra quasi guardino un po’ tutti con distacco e, da svizzero tedeschi, dicano: “Ticinesotti, siete simpatici ma lasciateci lavorare. Fate quello che vi diciamo”. La nuova proprietà ha reso solido il club, è vero, e per questo va ringraziata; Renzetti, per citare chi l’ha preceduta, sapeva però regalare emozioni ben diverse. Altro aspetto poco simpatico è la mancanza di rispetto verso le tradizioni. Una sorta di irriconoscenza verso i simboli che spiegano da dove vieni. Mi dispiace per esempio che della fusione con il Malcantone Agno, grazie alla quale il Lugano è resuscitato, non sia rimasto nulla. Avevamo un pesciolino nello stemma, che ricordava quel passato, è stato tolto. La memoria storica aiuta nel presente ed è un viatico per il futuro».
L’ultima domanda è solitamente riservata all’allenatore. Ma la risposta è già arrivata.
«Mattia Croci-Torti non si tocca. Sa fare tutto, soprattutto sa fare gruppo. Ma non mi sorprende. Ha voglia, si impegna e ha avuto la possibilità di lavorare con professionisti come Petkovic, uno bravissimo nella strategia di gioco e nella gestione dello spogliatoio, uno che se dicevi una parola di troppo poteva non farti giocare a lungo, e Zeman. Un altro mister eccezionale».
Che dopo un’ischemia è tornato al calcio ma non alle sigarette.
«Quando era a Lugano, solo nell’intervallo ne fumava due-tre per recuperare il tempo perso».
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