Mato Cutunic, attaccante del Castello, sta facendo ammattire le difese avversarie: «Il segreto de gol? Anche tanta fortuna e...».
«Trovo che i giovani di oggi siano meno affamati rispetto ai miei tempi. Se vinci bene se perdi va bene uguale, l'importante è fare festa».
CASTEL SAN PIETRO - Una macchina da gol, uno che quando vede il pallone "impazzisce" e l'unico posto nel quale vuole metterlo è in porta. Di chi stiamo parlando? Di Mato Cutunic, bomber del Castello e capocannoniere del campionato di Seconda Lega con 13 reti in 11 partite (ha timbrato il cartellino negli ultimi dieci incontri!).
I suoi gol stanno letteralmente trascinando la squadra di Gioele Croci-Torti (cugino del Crus), attualmente seconda a -1 dalla capolista Cadenazzo. «Diciamo che nella mia carriera il mio compito è sempre stato quello di fare gol. Sapete meglio di me che se un attaccante non segna per qualche giornata rosica... Non c'è comunque un segreto vero e proprio, ci vuole anche un po' di fortuna. Bisogna farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. Inoltre, quando segni tanti i gol, anche i compagni di squadra ripongono in te molta fiducia e tendono a cercarti un po' di più».
Che squadra è la vostra?
«Dalla scorsa stagione il gruppo è stato ringiovanito molto. Pensate che a 32 anni sono il secondo più vecchio. Si è creato uno zoccolo duro di giovani calciatori che si trova molto bene anche al di fuori di partite e allenamenti. Questo fa sì che anche in campo il gruppo sia affiatato».
Vista la partenza sprint, l'obiettivo è salire in Seconda Interregionale?
«La classifica farebbe pensare a una squadra che non può mancare la promozione. La verità è che non abbiamo nessun tipo di pressione da parte della società. Sappiamo che il livello della rosa è alto, ma se non dovessimo vincere il campionato non sarebbe un fallimento. Ci sono quattro o cinque compagini che aspirano a salire... Ciò non toglie che a me piace assai la competizione e già solo perdere la partitella in allenamento mi fa arrabbiare».
Non per tutti è così?
«Estendendo il discorso in generale, in base alle mie esperienze, trovo che i giovani di oggi siano meno affamati rispetto ai miei tempi. Se vinci bene se perdi va bene uguale, l'importante è fare festa. Personalmente mi piacerebbe vedere nei ragazzi la voglia di migliorare e di ambire a un palcoscenico importante. Purtroppo oggi ci sono tante distrazioni rispetto al passato, motivo per cui non sempre è facile concentrarsi soltanto sul calcio».
Un bomber come te a quali attaccanti si ispira?
«Sono tifoso del Milan. Ho ammirato Ibra e Shevchenko, ma non ho mai voluto imitarli. Vi assicuro che ho sempre osservato coloro che giocavano nelle mie squadre. Quando ero al Mendrisio-Stabio guardavo Matteo Cipolletti e a Friborgo un certo Karim Chentouf, giocatore che mi aveva preso sotto la sua ala. Guardo tante partite alla televisione, ma ho sempre osservato i miei compagni, ai quali nella mia testa dicevo "voglio metterli in panchina" (ride)».
Tutto il Ticino conosce bene il Crus: che allenatore è, invece, suo cugino Gioele?
«Quando guardo le interviste a Mattia, nelle movenze e nel carisma mi sembra di vedere la stessa persona. Talvolta è difficile motivarmi, bisogna toccare le corde giuste, quelle che riesce a toccare Gioele. Nella comunicazione è davvero molto bravo. Mi gasa durante le partite, perché mi sprona... La sua qualità più grande è che riesce a entrare nella testa di ciascun calciatore».
Infine, raccontaci il tuo percorso calcistico...
«Sono nato e cresciuto a Lugano. Mi ricordo come se fosse oggi quando a cinque anni Angelo Fassora, insegnante alle Scuole elementari ma anche allenatore, durante la ricreazione mi aveva dato la convocazione per gli Allievi F. Una gioia immensa, era partito tutto da lì... Ho fatto tutta la trafila in bianconero, poi sono stato scartato dal Team Ticino U18, dove avevo davanti gente del calibro di Matteo Tosetti, Branko Bankovic e Igor Mijatovic, campione del mondo U17. In seguito mi sono unito al Raggruppamento San Bernardo, abbracciando una filosofia totalmente diversa rispetto a quella a cui ero abituato. Sono passato dall'obbligo di vincere a tutti i costi a un modo di pensare decisamente più leggero. Ma avevo fatto questo passo per ritrovare me stesso... Poi sono finito in Seconda Lega al Canobbio e in seguito al Mendrisio-Stabio in Prima Lega. Dopo aver trascorso qualche anno a Friborgo per gli studi, giocando in diverse squadre della zona, sono tornato in Ticino: prima al Gambarogno e poi a Castello».