Nato in Colombia, a 10 anni si è trasferito in Svizzera: andiamo alla scoperta del centrocampista del Chiasso Alfredo Quesada
Attualmente la squadra momò si trova al secondo posto nel campionato di Terza Lega, a -3 dal Rapid. L'obiettivo è uno solo: la promozione
CHIASSO - Dalla Colombia, luogo di nascita, alla Svizzera. Dalla strada ai campi ticinesi. Alfredo Quesada - centrocampista del Chiasso - ha trovato la sua isola felice al Riva IV, dove sta rincorrendo la promozione in Seconda Lega. Oggi i rossoblù occupano la seconda piazza a -3 dal Rapid e nulla in terra momò potrà essere lasciato al caso in una primavera che si preannuncia davvero molto calda. Perché Chiasso trasuda storia e non può essere considerato un posto qualsiasi, lo zoccolo duro dei tifosi esige che la loro squadra del cuore possa tornare quanto prima in una lega consona alla storia del club.
Cresciuto nel Team Ticino, il classe '94 - di professione assicuratore - nella sua carriera ha collezionato 40 presenze in Prima Lega con Mendrisio e Taverne, prima di vestire anche le maglie di Arbedo, Minusio, Locarno e Cadenazzo e Rapid Lugano. Ha deciso di raccontarsi a Tio/20minuti...
«Culturalmente, essendo sudamericano ed essendo nato e cresciuto in Colombia, il calcio lo vivo intensamente sin da quando sono bambino. Mio padre era un ex calciatore, a livello amatoriale, e ci ha trascinato in questo magnifico mondo. Per i bimbi colombiani esiste soltanto il calcio. Sono cresciuto giocando a piedi scalzi sulle strade insieme ai vicini di casa con le porticine di metallo costruite da noi. Chiudevamo l'accesso alle macchine, che quindi non passavano, e giocavamo con una palla formata da un groviglio di stracci. Che ricordi!».
Cosa rappresenta per te la Colombia?
«Sono nato in Colombia, dove sono rimasto fino all'età di dieci anni. Nel cuore sono sempre colombiano, non rinnego le mie origini, ma mi sento altrettanto svizzero, la nazione che mi ha fatto crescere e dove ho conosciuto mia moglie, con la quale ho avuto due figli. La Svizzera è più della metà del mio cuore».
Facciamo un "gioco": c'è Svizzera-Colombia al Mondiale. Per chi tifi?
«Mi fa enormemente piacere quando vincono Colombia o Svizzera, ma vi assicuro che non tifo nessuna squadra. Anche a livello di club non seguo i campionati. Non sono un grande fan del calcio da TV. Se c'è un giocatore che ho ammirato? Sì, ed è Ronaldinho. Oltre all'aspetto tecnico, di lui mi è sempre piaciuto il fatto che scendesse in campo con il sorriso stampato in faccia».
Il presente risponde al nome di Chiasso...
«Sto benissimo qui. Ho trovato veramente una famiglia, mi hanno accolto in maniera eccezionale. Malgrado in passato abbia giocato in Prima Lega, una realtà così di alto livello non l'avevo mai vissuta. L'ambiente è davvero familiare... Il peso della maglia? Sì, si sente. Ma è un peso positivo...».
Inutile girarci attorno, l'obiettivo è solo e soltanto uno...
«Certo! Non c'è dubbio, vogliamo la promozione. Abbiamo un buon gruppo, formato da quattro/cinque giocatori d'esperienza e tanti giovani, che stanno crescendo in un ambiente sano. Nel calcio regionale la qualità, chi più chi meno, ce l'hanno un po' tutte le squadre. Tuttavia, l'aspetto che fa la grande differenza è il gruppo, la coesione dello stesso e l'unità. Sembrano preconcetti, ma vi assicuro che è davvero così... A inizio stagione abbiamo avuto qualche difficoltà poiché sentivamo un po' di pressione e, forse, il peso della maglia di cui parlavamo prima, non ci faceva giocare serenamente».
Negli anni scorsi hai cambiato diverse squadre. Ti piacerebbe stabilirti a Chiasso?
«Assolutamente sì. La realtà che sto vivendo e gli obiettivi posti sollevano in me enorme motivazione e passione... Passione che negli ultimi anni avevo perso. Voglio dare il mio contributo per realizzare i sogni dei tifosi, della società e della città. L'attaccamento alla maglia è davvero tanto alto, nonostante il poco tempo trascorso a difendere i colori rossoblu. Darò sempre il massimo anche per ripagare lo sforzo di tutti coloro che ci permettono di vivere questa esperienza come dei professionisti, non facendoci mancare mai nulla. Se la società lo desidererà, sarò sempre a loro completa disposizione».
In generale non hai praticamente mai avuto terra ferma sotto i piedi... C'è una spiegazione?
«Dopo aver lasciato il Taverne in Prima Lega ho deciso di riprendere gli studi. Prima, invece, il mio sogno era quello di dedicarmi al 100% al calcio, cercando - fra le altre cose - anche delle esperienze all'estero. Non avendo dietro qualcuno che mi spingesse, abbinato a qualche problema di passaporto, non è stato facile provare a spiccare il volo. Motivo per il quale ho optato per fare un passo indietro e dedicarmi alla carriera professionale. Sono dunque andato ad Arbedo dove abbiamo vinto letteralmente tutto».
Che allenatore è Damiano Meroni?
«È un allenatore preparato con cui mi trovo molto bene. Non solo sotto l'aspetto tecnico-tattico, ma anche per quanto concerne la preparazione atletica, della quale se ne occupa direttamente lui. È bello perché quasi tutti gli esercizi che prepara sono comprensivi di pallone, così facendo risulta più semplice coinvolgere noi giocatori. A mio avviso, questa è una carta vincente nel rapporto fra allenatore e calciatori. Damiano ha le idee in chiaro, sa come coinvolgere tutti e riesce sempre a tirare fuori il massimo da ognuno».
Cosa vuoi dire ai tuoi tifosi?
«Voglio ringraziarli per il sostegno che hanno sempre mostrato e dire loro di avere fiducia in noi. Attraverso il duro lavoro, il sacrificio, la professionalità e la serietà che mettiamo ogni giorno in campo sono sicuro che riusciremo a raggiungere i nostri obiettivi, rendendoli orgogliosi della squadra per cui tifano».