«Che la Svizzera si metta in coda, adesso ci siamo noi», Paolo Bertolucci si gode Sinner
«Cito Ruud: “Con Djokovic gioco e perdo, con Sinner neppure riesco a giocare”»
MILANO - Vinte Coppa Davis e Billie Jean King Cup, l’Italia ha strillato al mondo intero di essere diventata una potenza del tennis. Quasi un miracolo per un Paese che, fino a qualche anno fa, viveva dei guizzi del movimento femminile, tenuto in alto da muscoli e fosforo di Pennetta & Co, mentre a livello maschile era quasi nullo. Ogni tanto proponeva qualche buon giocatore (Gaudenzi, ora presidente ATP, Camporese, Canè…) è vero; di campioni veri non ne vedeva però da tanto, tanto tempo. Da una quarantina d’anni almeno.
Gli ultimi grandissimi erano infatti stati gli eroi della Coppa Davis, in trionfo nel 1976 e finalisti nel 1977, 1979 e 1980: Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Zugarelli.
Ora, invece, mentre Jasmine Paolini graffia tra le donne, Sinner e i suoi fratelli (nove azzurri nella top-100) stanno dominando tra gli uomini.
«Di buoni giocatori in realtà l’Italia ne ha sempre avuti. Si parlava della generazione dei Camporese… valeva questa, solo mancava il diamante, il gioiello capace di illuminare tutto il movimento - ci ha raccontato proprio Paolo Bertolucci, uno dei simboli del tennis azzurro - Il buon lavoro di base c’è sempre stato, poi si va a cicli, a momenti, a ondate. Adesso ci sono tanti ottimi ragazzi e in più c’è Jannik».
Campione che però non si può programmare. Uno così, eccezionale, capita.
«Jannik è stato una botta di culo per l’Italia. Dico sempre che si deve ringraziare la cicogna che l’ha scaricato di qua. Ancora pochissimi chilometri e sarebbe stato austriaco. La fortuna è però stata anche che sia cresciuto nella famiglia giusta, che l’ha accompagnato, sostenuto, che gli ha dato la corretta educazione. Il talento vale tantissimo, quando però si cresce in un ambiente non sano il rischio di bruciarsi o di non sbocciare proprio è altissimo. Jannik invece ha tutto e in più non è il classico italiano. La testa è nordica. Ma d’altronde è cresciuto lì in mezzo alla neve».
È un pregio?
«Una peculiarità. I classici campioni di casa nostra sono geniali, sono artisti, Sinner non lo è. Il tipico campione italiano è Valentino Rossi, è Alberto Tomba. Jannik non è così: ha meno estro ma una mentalità incredibile. Ha una dedizione maniacale al lavoro, oltre alle doti tecniche e fisiche, è grazie a quella se è arrivato dove è arrivato».
I paragoni sono sempre difficili e spesso senza senso però… Per arrivare in cima Sinner ha studiato tutti gli ex campioni. Ha provato a emularli prima e a migliorare i loro colpi poi. Si può quindi dire che sia già migliore di loro? Che sia il migliore di sempre, pure di Federer, fino al prossimo fenomeno?
«Sì, ma questo vale per tutti i “nuovi” atleti, in tutti gli sport. Per quel che riguarda il tennis, l’evoluzione fisica, quella dei materiali ma anche delle metodologie di allenamento e alimentazione, fanno sì che gli ultimi arrivati siano migliori di quelli che li hanno preceduti. In campo i giocatori alti 1,90m ci sono sempre stati. Ora però sono agili, veloci, una volta erano invece goffi. Erano solo alti e magari potenti. E in quanto al Sinner migliore di tutti… rispondo con una battuta del norvegese Casper Ruud, un top-10 della classifica ATP, mica l’ultimo arrivato: “Con Djokovic gioco e perdo, con Sinner neppure riesco a giocare”».
L’italiano sembra destinato a dominare a lungo. I tifosi italiani ne sono felici, quelli delle altre nazioni, Svizzera in testa, un po’ meno.
«Voi svizzeri avete appena avuto Roger Federer e Stan Wawrinka, siete appena usciti da un’epoca fantastica. Ora, permettetemelo, mettetevi in coda: ci siamo noi. Abbiamo aspettato per 40 anni…».