Un nuovo rapporto di Fashion Revolution mostra che l’industria della moda resta uno dei settori più nocivi per l’ambiente e che i grandi marchi di moda non si muovono abbastanza in fretta per ridurre il consumo di carburanti fossili.
In breve:
La sostenibilità ha conquistato anche il settore della moda. O almeno così sembra: parole come «fair», «sustainable», «eco» e «recycled» compaiono sempre più spesso nelle pubblicità di capi d’abbigliamento. Ma cosa c’è dietro? L‘organizzazione Fashion Revolution ha analizzato attentamente 250 grandi marchi di moda e pubblicato un rapporto sugli obiettivi e sulle misure di riduzione dei vettori energetici fossili. Ecco i risultati più importanti:
1. L’industria della moda resta uno dei settori più nocivi per l’ambiente
I combustibili fossili vengono usati in ogni fase della produzione nell’industria della moda. Nulla è cambiato. L’industria della moda contribuisce quindi in modo massiccio ai cambiamenti climatici.
2. I grandi marchi di moda non investono abbastanza nella svolta verso le energie rinnovabili
Il rapporto mostra che gli obiettivi di riduzione dei grandi marchi sono insufficienti per raggiungere l’obiettivo globale di un aumento massimo delle temperature di 1,5°C. Molti marchi esigono che siano le fabbriche a sostenere personalmente i costi per la svolta verso le energie rinnovabili.
3. Solo pochi marchi proteggono i propri lavoratori dagli effetti dei cambiamenti climatici
Gli eventi meteorologici estremi potrebbero minacciare quasi un milione di posti di lavoro nel settore. Il rapporto mostra che solo il 3% dei marchi (sette in totale) attuano misure trasparenti per sostenere finanziariamente i lavoratori colpiti dalla crisi climatica. A causa delle deboli leggi in materia di assicurazione sociale e dei salari da fame nei Paesi di produzione, Fashion Revolution sostiene l’introduzione di meccanismi di compensazione per questi lavoratori.
4. Mancanza di priorità per le misure di protezione del clima
Quasi un quarto dei grandi marchi di moda non pubblica informazioni in merito ai propri piani di rinuncia all’utilizzo dei combustibili fossili. Fashion Revolution ritiene che sia una mancanza di priorità. Solo quattro dei 250 marchi hanno stabilito ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni di livello adeguato a quanto proposto dalle Nazioni Unite.
5. Mancanza di trasparenza per materie prime e catena produttiva
La maggior parte dei grandi marchi di moda (89%) non dichiara apertamente quanti capi d’abbigliamento produce ogni anno. Quasi la metà dei marchi (45%) non pubblica le quantità prodotte o l’impronta ecologica delle materie prime utilizzate. Mentre il 58% dei marchi ha pubblicato obiettivi per l’utilizzo di materiali sostenibili, solo l’11% ha fornito dati sulle fonti energetiche e sulla catena di produzione. Ciò significa che capi pubblicizzati come sostenibili potrebbero essere prodotti in fabbriche alimentate con combustibili fossili.
6. Mancanza di sostegno ai fornitori
Nessun grande marchio di moda dichiara quanto denaro investe per organizzare la propria catena di produzione in modo più sostenibile. Solo il 6% dichiara di versare soldi in fondi climatici. Questi fondi permettono ai fornitori di ottenere del credito per infrastrutture come impianti solari ma secondo Fashion Revolution si tratta di una pratica iniqua poiché i marchi stessi non devono investire nulla.
Fashion Revolution
Fashion Revolution è il maggiore movimento di attivismo a livello mondiale nel settore della moda. L’obiettivo è un’industria della moda equa e sostenibile. L’organizzazione opera in 75 Paesi tra cui anche la Svizzera. Fashion Revolution ritiene che l’industria della moda debba investire almeno il 2% del proprio utile in «energie pulite e rinnovabili» e a sostegno dei lavoratori.