La consigliera federale spiega come non sia stato facile decidere di mobilitare l'esercito per fronteggiare il Covid
BERNA - La decisione di mobilitare l'esercito per fronteggiare l'epidemia di Covid-19 non è stata presa a cuor leggero, anzi. Lo rivela in un'intervista al quotidiano"Le Nouvelliste" la consigliera federale Viola Amherd, sottolineando che a 5000 soldati è stato chiesto di lasciare famiglia e lavoro con scarso preavviso.
«È stata una scelta difficile», confida la ministra della difesa sull'edizione odierna del giornale vallesano. «Alcuni hanno avuto solo 48 ore di tempo. Ero cosciente di tutte le conseguenze sociali, sanitarie ed economiche di questa decisione».
Ma il governo ha dovuto pronunciarsi in qualche giorno, in un contesto che si «aggravava molto rapidamente». «La domanda è arrivata dal Dipartimento federale dell'interno e noi abbiamo risposto», prosegue Amherd.
Stando alla consigliera federale, il numero di truppe mobilitato è stato determinato in funzione dello scenario peggiore. «Arrivavano notizie catastrofiche dall'Italia e drammatiche dal Ticino. Fortunatamente gli ospedali sono riusciti velocemente ad aumentare la capacità d'accoglienza».
In un'operazione inedita dai tempi della Seconda guerra mondiale, l'esercito è stato chiamato il 6 marzo per appoggiare la lotta contro il coronavirus in settori come la sanità e la sicurezza. Alcuni militi sono già stati ritirati, ma il coinvolgimento delle forze armate «dovrebbe continuare verosimilmente fino a fine giugno», dichiara Amherd.
In generale, la ministra definisce «molto particolare» l'ambiente in seno al governo durante l'attuale crisi, caratterizzata da «sedute molto intense» a causa della pressione e delle attese. Secondo Amherd si è però sviluppata «un'eccellente cultura del dialogo, fatto di cui mi rallegro».