Nel nostro Paese le prime persone dovrebbero venire vaccinate all'inizio del prossimo anno.
L'efficacia e la sicurezza dei vaccini sono però due dei punti chiave. Un'esperta di etica: «Siamo in una zona grigia senza precedenti». Marcel Tanner: «È possibile studiare gli effetti a lungo termine anche senza i gruppi placebo».
BERNA - Mentre alcune persone sono già state vaccinate contro il coronavirus al di fuori dei test clinici, in tutto il mondo ci sono più di 180 vaccini ancora allo studio. Anche sul piano etico, le ricerche sui vaccini fanno sorgere interrogativi.
Nelle ultime settimane, i produttori di tre vaccini contro il SARS-CoV-2 hanno pubblicato dati promettenti. In Svizzera, le prime persone dovrebbero venire vaccinate all'inizio del prossimo anno. Per quanto incoraggianti queste notizie non sono prive d'incognite.
Nella ricerca medica, è infatti pratica comune che una metà dei partecipanti a uno studio clinico riceva il principio attivo e l'altra metà un placebo. Questo permette di testare l'efficacia e la sicurezza del vaccino.
La prima domanda che si pone è se sia eticamente giustificabile negare un vaccino certificato come efficace ai soggetti che hanno già ricevuto un placebo, per poter indagare sugli effetti a lungo termine.
«Zona grigia» senza precedenti - Sono questioni che raramente hanno dovuto essere affrontate prima della pandemia di Covid-19. È una «zona grigia» senza precedenti, dice a Keystone-ATS Samia Hurst, professoressa di etica della medicina all'Università di Ginevra.
Il problema è che non appena un vaccino viene riconosciuto come standard nelle cure mediche, anche i partecipanti al placebo dovrebbero poterlo ricevere. Tuttavia, fintanto che i vaccini scarseggiano e si deve dare la priorità a certi gruppi di persone, «può essere eticamente accettabile» continuare a dare il placebo alle categorie di volontari considerate non a rischio.
E cosa succede una volta che tutti i partecipanti allo studio sono stati vaccinati? «È possibile studiare gli effetti a lungo termine anche senza i gruppi placebo», afferma l'epidemiologo Marcel Tanner, della "Task Force Covid-19" della Confederazione.
Sulla base dei registri delle vaccinazioni, si possono determinare in qualsiasi momento gli effetti collaterali che si verificano nei pazienti vaccinati e in quelli non vaccinati. Ma «questa procedura richiede più tempo degli studi controllati», osserva la professoressa Hurst. Questo perché i gruppi non sono più selezionati in modo casuale e l'imprecisione dei dati è maggiore.
La Fase 4 - Il monitoraggio di un vaccino non termina con la sua approvazione da parte delle autorità preposte. Oltre alla Fase 3, c'è anche una Fase 4, che servirà in particolare a verificare se il vaccino permette di prevenire un'infezione asintomatica e se gli individui vaccinati continuano a trasmettere il virus, spiega Tanner.
Inoltre, a seconda dei risultati delle prove di Fase 3, saranno necessarie ulteriori prove cliniche, per chiarire la sicurezza del vaccino per i gruppi a rischio e determinare la dose corretta per queste persone.
La corsa al vaccino non è finita - In tutto il mondo sono attualmente allo studio più di 180 vaccini contro il Covid-19. Questo è importante perché potrebbero essere necessari diversi vaccini per soddisfare la domanda globale.
Alcuni vaccini potrebbero ad esempio rivelarsi migliori per i diabetici, gli anziani o i pazienti sieropositivi. Ma per saperlo, anche questi preparati dovranno dimostrare la loro efficacia in studi di Fase 3 che coinvolgano migliaia di soggetti.
I programmi di ricerca potrebbero prevedere che un gruppo riceva il vaccino ancora da studiare e un altro quello già registrato. In questo modo - spiega il membro della "Task Force Covid-19" - si potrebbe verificare il grado di efficacia di un nuovo vaccino rispetto a quello già approvato.
Comunicare in modo trasparente - Anche in questo caso ci si può porre la domanda se sia etico privare un gruppo di controllo della possibilità di ottenere il vaccino già approvato. La risposta a questo interrogativo è «forse sì», secondo uno studio pubblicato sulla rivista "Science" da un gruppo di ricercatori statunitensi guidati da David Wendler.
Gli autori dello studio suggeriscono di escludere le categorie a rischio dagli studi sui nuovi vaccini, ma anche di continuare a raccogliere dati preziosi sui partecipanti che hanno un basso rischio di subire gravi danni dal virus.
La priorità sarà in ogni caso di raggiungere un numero sufficiente di persone che si farà vaccinare. Occorre infatti che almeno il 60-70% della popolazione sia vaccinata, per raggiungere la cosiddetta immunità del gregge. «Sta a tutti noi comunicare in modo trasparente, scientifico ed etico sui vaccini», conclude Tanner.