La storia di Laura: «Non si ha neanche tempo di elaborare il decesso di un paziente»
L'appello a Berset è di migliorare le condizioni degli impiegati nel sanitario: «Gli applausi danno coraggio, ma non pagano le bollette»
BERNA - Laura è un'infermiera di 24 anni che si prende cura dei pazienti malati di Covid-19 sin dall'inizio dello scoppio della pandemia.
Tuttavia, lo stress accumulato a causa degli orari, del continuo dramma, e il non avere il tempo di elaborare le morti dei pazienti l'ha infine portata al burnout, e non è stata in grado di lavorare per due settimane.
«Negli ultimi giorni non ho nessuna energia, non faccio altro che stare a letto» ha raccontato la ragazza al quotidiano 20 Minuten. «Ho costantemente impresse nella mente le immagini del reparto Covid in cui lavoravo: in particolare i pazienti in grave difficoltà respiratoria, e quelli che cercano disperatamente di dirmi qualcosa nelle ultime ore della loro vita». «Cosa avrei potuto fare per far stare meglio i pazienti? Avrei potuto evitare la loro morte? Sono domande che non se ne vanno» si chiede, senza darsi pace, l'infermiera.
Peggioramenti improvvisi - Una delle cose peggiori, secondo Laura, è l'imprevedibilità del decorso: «È successo più volte che pazienti che valutavamo come stabili peggioravano improvvisamente, crollavano e non riuscivano a respirare, e in seguito, nonostante facessimo tutto il possibile, morivano nelle 12-24 ore successive».
Secondo la ragazza, la seconda ondata è anche peggiore della prima: «In dieci giorni abbiamo perso 4 pazienti, non riesco a stare al passo con tutto quello che succede in ospedale».
I rapporti interpersonali - Uno dei lati più difficili è l'assenza dell'aspetto interpersonale con i propri pazienti. «Sono sotto uno stress costante, tra tutte le cose che devo fare intravedo molti pazienti che vogliono parlare con me, che hanno paura, ma non ho neanche tempo per rassicurarli» spiega Laura, «l'aspetto interpersonale è andato completamente perso durante la pandemia».
In tutto questo, il suo ruolo al fronte le impedisce di vedere regolarmente parenti e amici: «Da marzo ho ridotto al minimo i contatti sociali. Ho visto mia madre solo quattro volte, mio padre un po' di più - ma sempre fuori e a distanza di sicurezza. L'unica persona che incontro regolarmente è il mio migliore amico, con cui posso sfogarmi».
Infine, il crollo - «Due settimane fa non ce la facevo più, ero completamente esausta» ha poi raccontato la ragazza, «il mio medico lo ha notato e mi ha messo in malattia, dicendomi che ho bisogno di un po' di tempo per riprendermi».
«Nel frattempo sono in terapia con uno psicologo. Cerco di distrarmi, andare a cavallo, ma non ho la forza per fare niente, ci sono ancora giorni in cui non riesco ad alzarmi dal letto. Nel frattempo, penso ai pazienti che sono deceduti mentre lavoravo, accendo regolarmente delle candele, penso a quello che mi hanno detto o a quello che è stato importante per loro nella vita - mi aiuta nel processo di elaborazione del lutto».
L'appello a Berset - «La cosa peggiore per me è non sapere quanto durerà questa situazione», ha poi detto Laura, «gli esperti parlano già di una terza ondata, ma non è ancora sotto controllo neanche la seconda».
L'infermiera ha deciso di scrivere una lettera al consigliere federale Alain Berset per richiamare l'attenzione sulla precaria situazione del personale infermieristico: «gli applausi ci hanno dato coraggio, ma non possiamo usarli per pagarci le bollette. Il personale sanitario meriterebbe un miglioramento delle condizioni di lavoro».