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SVIZZERANel 2021 si tornerà al turismo degli acquisti

23.12.20 - 14:57
L'anno in corso è stato buono per il settore del commercio al dettaglio, con vendite in crescita rispetto al 2019
Depositphotos (nd3000)
Buon 2020 per il commercio al dettaglio, ma nel 2021 si tornerà al turismo degli acquisti.
Buon 2020 per il commercio al dettaglio, ma nel 2021 si tornerà al turismo degli acquisti.
Fonte Ats
Nel 2021 si tornerà al turismo degli acquisti
L'anno in corso è stato buono per il settore del commercio al dettaglio, con vendite in crescita rispetto al 2019

ZURIGO - Il 2020 è stato un buon anno per il settore del commercio al dettaglio: la progressione delle vendite dovrebbe risultate ben superiore a quella del 2019. Questa tendenza positiva perderà però probabilmente slancio nel 2021, una volta che la pandemia di coronavirus sarà sotto controllo e riprenderà il turismo degli acquisti.

«Non bisogna dimenticare che nel 2020 le frontiere sono state chiuse per diverse settimane in primavera: soprattutto nella prima ondata, gli Svizzeri hanno fatte le loro compere all'interno del Paese, ma sulla scia delle incertezze legate all'occupazione il prezzo tornerà a essere un fattore importante», osserva Karine Szegedi, responsabile del settore dei consumi nella Confederazione presso la società di consulenza Deloitte, in dichiarazioni rilasciate all'agenzia Awp.

Secondo i calcoli degli economisti di Credit Suisse, nel 2019 gli svizzeri hanno acquistato nei negozi oltre frontiera merci per un valore di 8 miliardi di franchi. Quest'anno invece lo shopping è stato fatto di più sulla porta di casa o poco lontano: nei primi nove mesi dell'anno (ultimo dato disponibile) le vendite al dettaglio sono aumentate del 6,6% rispetto lo stesso periodo del 2019, trainate dal segmento dei generi di prima necessità e da un'impennata degli acquisti online, stando ai rilevamenti dell'istituto Gfk. L'anno scorso la crescita era stata solo dello 0,1%.

La progressione di gennaio-settembre 2020 è attribuibile principalmente al comparto alimentare (+10,3% rispetto al +0,1% del 2019) mentre il segmento non alimentare è risultato quasi stagnante (-0,1% rispetto al -0,5% del 2019). Anche le aziende attive nel settore dell'abbigliamento, duramente colpite dai due mesi di lockdown in primavera, si sono riprese, tornando in territorio positivo in settembre.

Di fronte alle misure di confinamento e alla seconda ondata di Covid-19 molti consumatori si sono rivolti al web. «Alcuni negozi hanno raggiunto in pochi mesi gli obiettivi di vendita online che si erano prefissati per i prossimi 3-5 anni», sottolinea Szegedi. A suo avviso una gran parte dei clienti dovrebbe continuare a consumare su internet anche dopo la crisi sanitaria, visto che le abitudini prendono piede se l'esperienza è stata positiva.

Tuttavia l'esperta prevede che la crescita dell'e-commerce rallenterà il prossimo anno. «La forte accelerazione di quest'estate non dovrebbe ripetersi, una volta che la pandemia sarà più sotto controllo». La specialista di Deloitte sottolinea inoltre che è difficile stimare la quota delle vendite online su quelle complessive. «Storicamente era tra il 5 e il 10%, ma il dato è salito al 50% quest'estate».

Sull'intero comparto, oltre al turismo degli acquisti, potrebbe inoltre pesare il timore dei consumatori di perdere il posto di lavoro a causa delle conseguenze economiche della crisi. In un recente sondaggio condotto da Deloitte in 13 Paesi, il 29% degli interpellati aveva paura di perdere l'impiego, il 20% spendeva più di quanto guadagnava e il 40% era preoccupato per i propri risparmi. I consumatori continueranno ad acquistare beni di prima necessità, ma prevedono di risparmiare sull'abbigliamento, sui ristoranti e soprattutto sui viaggi.

La Segreteria di Stato dell'economia (Seco) pronostica un tasso di disoccupazione medio del 3,2% nel 2020 e del 3,3% nel 2021, se la situazione epidemiologica migliorerà gradualmente a partire dalla prossima primavera, grazie in particolare alla distribuzione su larga scala di vaccini contro il Covid-19.

Per il settore della vendita le prospettive sono fosche. «In termini di occupazione, non siamo molto ottimisti riguardo ai negozi nei centri urbani e nei centri commerciali», afferma Szegedi. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a un calo generale della clientela e alla perdita di posti di lavoro nel ramo. Con la crescita del commercio elettronico sono però stati creati impieghi per gestire il flusso fisico delle merci inviate».

Nei prossimi mesi dovrebbero inoltre rafforzarsi tendenze che sono apparse ancora prima della pandemia, come per esempio la popolarità dei cosiddetti negozi a tempo o temporanei (pop-up store), cioè punti vendita che rimangono aperti solo pochi giorni o un mese; l'obiettivo è creare l'evento, magari effimero (da cui il nome in francese: "magasin éphémère"), nell'ambito magari di precise strategie di marketing. «La flessibilità dei negozi a tempo rappresenta un grande vantaggio per i rivenditori in questi tempi incerti», spiega Szegedi.

Inoltre gli esperti prevedono che prenderà ancora più piede il trend dei beni di seconda mano, poiché il temi legati alla sensibilità ambientale e sociale sono diventati ancora più importanti con la pandemia. In precedenza offerti principalmente nei mercatini delle pulci, quest'anno i prodotti "second-hand" hanno trovato la loro collocazione anche nei grandi magazzini come Jelmoli e Manor.

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