Albert Rösti: «Non capisco proprio, avremmo avuto abbastanza tempo per prepararci»
Gli ospedali non ci stanno: «Il più preparati possibile», secondo Yvonne Ribi, portavoce dell'Associazione degli infermieri SBK
BERNA - L'UDC è tornata oggi alla carica riguardo ai posti letto nelle unità di terapia intensiva svizzere. Secondo il partito, infatti, sono ancora troppo pochi, in particolare visto che la pandemia sta durando ormai da parecchio, e anche vedendo ad esempio l'Austria, che ne ha più del doppio.
D'altronde, i democentristi avevano già chiesto alla fine di agosto un aumento di tali posti ad almeno 1'200 unità, «al fine di evitare un possibile sovraccarico del sistema sanitario».
Alain Berset, ospite della redazione di 20 Minuten per parlare della pandemia, ha spiegato che è una tematica che riguarda i Cantoni, e che «non è una questione di finanze». Secondo Tobias Bär, portavoce mediatico della Conferenza cantonale dei direttori sanitari (GDK), ci sono attualmente 873 posti certificati disponibili (al 10 settembre).
«Avremmo avuto due anni per prepararci»
Albert Rösti, Consigliere nazionale dell'UDC, è critico: «Non capisco perché la Svizzera abbia così pochi posti letto di terapia intensiva. L'Austria ha circa lo stesso numero di abitanti e più di 2'000 posti».
Il 54enne poi non accetta la «scusa» che c'è una mancanza di personale: «Siamo stati nella pandemia per due anni e avremmo avuto abbastanza tempo per aumentare il personale. In tal modo avremmo avuto una riserva e avremmo potuto affrontare l'inverno con più calma».
Rösti chiede un'azione immediata ora, non è troppo tardi: «I numeri legati al Covid potrebbero aumentare di nuovo l'anno prossimo e purtroppo questa non sarà probabilmente l'ultima pandemia».
«Non basta dire semplicemente che ci vorrebbero anni»
Il Consigliere nazionale del PLR Marcel Dobler la vede in modo simile. Secondo lui, le autorità devono ammettere di non aver fatto abbastanza per aumentare le capacità delle terapie intensive. «Dire semplicemente che ci vorrebbero anni per formare il personale non è sufficiente. Alcuni compiti in un'unità di terapia intensiva possono essere svolti anche dopo una formazione più breve».
Dobler ammette, tuttavia, che l'implementazione concreta è difficile: «Bisogna capire effettivamente quali compiti possono essere assunti e dove c'è davvero una carenza, qualcosa che dovrebbe essere in ogni caso deciso dalle direzioni degli ospedali». Ci sono poi i costi, e se viene formato troppo personale rischia di restare disoccupato in seguito alle ondate di Covid.
Comunque, prosegue Dobler, attualmente siamo lontani da un sovraccarico del sistema sanitario, e un'espansione delle capacità del dieci o del venti per cento aiuterebbe solo a ritardare il problema: «In una pandemia con una crescita esponenziale, l'obiettivo deve essere quello di interrompere le ondate il più presto possibile».
«Gli ospedali hanno fatto di tutto per essere pronti»
Yvonne Ribi, Direttrice esecutiva dell'Associazione professionale degli infermieri SBK, non ci sta e respinge le critiche: «Gli ospedali e le aziende di formazione hanno fatto di tutto per essere il più preparati possibile».
Rimediare alla carenza in due anni e formare abbastanza personale per lavorare a tempo pieno in un reparto di terapia intensiva è un'utopia, secondo lei: «Questa formazione richiede un corso post-laurea. Servirebbe un numero sufficiente di infermieri qualificati con formazione e diploma, ma c'è già una carenza ovunque». Insomma, «insegnare semplicemente a qualcuno a girare le persone nel letto in sei mesi - che è anche importante - non è sufficiente per aumentare le capacità delle unità».
Ribi ha poi chiarito che in definitiva: «Non ci sono soluzioni rapide». In vista di future crisi sanitarie, tuttavia, ci sono delle possibilità: «Un'opezione sarebbe un pool di personale sanitario ben addestrato che lavora in altre aree o settori in tempi normali e che può essere assegnato alle terapie intensive in caso di emergenza. Ciò richiede però una formazione, ma anche delle condizioni di lavoro attraenti e, naturalmente, queste persone devono essere remunerate in un modo o nell'altro».