Abbiamo parlato dei tumori pediatrici con il CEO di Cancro infantile in Svizzera Valérie Braidi-Ketter.
L’organizzazione dà sostegno e si batte per le famiglie che devono affrontare questo difficile percorso. «La situazione è complicata. Non esiste un fondo pubblico dedicato alla ricerca».
BERNA - Il cancro pediatrico è una malattia rara. In Svizzera si ha infatti una media di circa 350 casi all’anno di piccoli pazienti oncologici (ne avevamo parlato qui) che però sono affetti da ben sessanta tipi di tumori diversi. Un numero esiguo di malati che rende questa patologia poco interessante e poco remunerativa per le industrie farmaceutiche che privilegiano la (più remunerativa) ricerca sugli adulti. Ma ogni vita conta. Ancor di più se è quella di un bambino o di un giovane.
E allora ci sono organizzazioni che lottano per fare in modo che le cose cambino. E per dare un aiuto concreto alle famiglie che devono affrontare un percorso difficile sia emotivamente che finanziariamente.
È il caso di Cancro Infantile in Svizzera (CIS) che dal 2015 affianca, consiglia e conforta le persone confrontate con questa piaga. E che si batte per raccogliere i soldi necessari. «A differenza di altri Paesi - esordisce il CEO Valérie Braidi-Ketter - in Svizzera non esiste un fondo pubblico dedicato alla ricerca sui tumori pediatrici. In Francia per esempio c’è. E il budget è passato da zero a 25 milioni di euro in pochi anni. Il sostegno finanziario in Svizzera è insufficiente e copre solo il 40% dei costi di ricerca. Il resto deve essere finanziato da donazioni private. È una situazione difficile. Vogliamo garantire anche nel nostro Paese un accesso alle migliori terapie, ma mancano i fondi per farlo».
L’obiettivo, dunque, è quello di smuovere le acque a livello politico. Cosa state facendo?
«Attualmente siamo impegnati per un rimborso facilitato e completo dei farmaci e delle terapie da parte delle casse malati. Un rapporto del Consiglio federale dovrebbe essere pubblicato a breve. Aspettiamo le loro conclusioni perché è palese che una delle maggiori problematiche che devono affrontare le famiglie è proprio questa».
Qualcosa, in verità l’avete già ottenuto…
«Sì, è vero. Abbiamo combattuto e ottenuto un congedo parentale di 14 settimane. La nostra organizzazione sostiene anche legalmente le famiglie. Per molti genitori è infatti difficile rimanere a galla nella marea di carte legislative. Abbiamo anche un centro, l’unico in Svizzera, per i giovani adulti guariti».
Oltre che legalmente e finanziariamente, sostenete le famiglie anche a livello psicologico?
«Sosteniamo diverse associazioni che offrono un sostegno locale a tutte le famiglie durante il trattamento e una volta terminato. In pratica danno un supporto durante l’intera durata della malattia. Organizzano incontri, danno un po’ di respiro ai genitori e soprattutto un aiuto finanziario alle famiglie».