La nuova revisione della Legge federale sulle attività informative potenzia parecchio i Servizi Segreti, e divide
BERNA - Più sicurezza fa, per forza di cose, rima con più controllo. Iniziano a venire al pettine i primi nodi della nuova revisione della Legge federale sulle attività informative, come riportato oggi dalle pagine del TagesAnzeiger. Il quotidiano zurighese tratta in particolar modo un punto della Revisione, quello che riguarda la condivisione dei dati personali con i Servizi segreti del SIC.
Alle strutture ricettive, ovverosia agli alberghi, è imposto quello che viene chiamato «obbligo di cooperazione», ovvero la condivisione con gli 007 di Berna non solo di nomi e dati degli ospiti ma anche delle immagini registrate dalle videocamere. A essere interessati da questo obbligo sono anche i servizi di trasporto pubblico, come le autolinee dei bus e le ferrovie. Secondo la Legge la motivazione ufficiale di un SIC - in questo senso estremamente potenziato - è «identificare, prevenire e scongiurare minacce concrete».
Stando alla bozza, chi rifiuta questa cooperazione può incorrere in sanzioni anche estremamente gravi - come recita la bozza approvata dal Consiglio Federale - con sanzioni che arrivano anche a 100mila franchi. Al momento, scrive il TagesAnzeiger, non vi sono violazioni del diritto penale con pene pecuniarie analoghe.
Contro ogni previsione questo tipo di misura non preoccupa eccessivamente GastroSuisse che ritiene che ha fiducia nella Confederazione affinché «Berna mantenga la segretezza dei dati, così da non danneggiare la reputazione delle società interessate». Per quanto riguarda le sanzioni, invece, «si auspica che siano proporzionali, e i 100mila siano il massimo possibile», aggiungendo, «che in ogni caso il nostro personale è comunque abituato a trattare i dati personali dei clienti con discrezione».
Simile la posizione delle FFS che conferma come già da tempo sia soggetta a misure analoghe da parte del SIC: «Abbiamo sempre avuto l'obbligo di collaborazione con i Servizi Segreti», spiega il portavoce Oli Dishoe.
A essere invece vocalmente contrari sono avvocati, liberi pensatori e associazioni in difesa dei diritti umani tra i quali anche la nota Human Rights Watch. Tutti questi parlano di un'imposizione «degna di una dittatura» così come di una «pena sproporzionata e senza pari». Preoccupa anche il fatto che l'obbligo possa prevaricare sul segreto professionale di avvocati, medici, psicologi e officianti religiosi.