Cinque cittadini russi hanno chiesto clemenza al governo svizzero: «Non sono un oligarca, è una misura ingiusta».
BERNA - Jet privati, yacht lussuosi e conti in banca illimitati, ecco in grandi linee lo stereotipo dell’oligarca russo finito nella lista nera delle sanzioni economiche occidentali. Non sempre però questi cliché rispecchiano gli standard di vita dei cittadini di origini russe colpiti da queste misure.
«Non sono un oligarca» - Alexander Pumpyansky, 35enne di doppia nazionalità russo e svizzera, è finito nella lista nera per via di suo padre, Dmitry Pumpyansky, un imprenditore siderurgico russo miliardario: «Io però non sono un oligarca, le sanzioni mi stanno prosciugando», si era lamentato durante l’estate al Blick sottolineando che queste misure economiche stavano compromettendo il suo futuro nel nostro Paese.
Il caso di Pumpyansky junior, i cui tre figli sono nati e cresciuti in Svizzera, è tornato di attualità. Con lui altri quattro cittadini russi sanzionati hanno chiesto a Berna di rivedere le misure punitive in quanto erano state applicate in modo sbagliato.
Una risposta che non arriva - Se Pumpyansky sia effettivamente finito nell'elenco delle sanzioni per “errore” è difficilmente da giudicare. Eppure la sua richiesta è stata inoltrata al palazzo federale a fine marzo e ancora oggi non ha ricevuto una risposta.
«Questi tempi di attesa estremamente lunghi violano il diritto costituzionale», ha commentato il consigliere nazionale del PLR Hans-Peter Portmann intervenuto sulle colonne del Blick. Il vicepresidente della Commissione Esteri ritiene giusto che la Svizzera abbia aderito alle sanzioni europee. Ritiene inoltre che le sanzioni contro gli individui siano un metodo collaudato.
Il diritto al ricorso - Tuttavia, Portmann sottolinea: «Chiunque finisca nell'elenco delle sanzioni deve però ricevere una giustificazione comprensibile e avere l'opportunità di intraprendere un'azione legale contro le sanzioni». Secondo Portmann però questo procedimento non viene seguito: «All'inizio il governo federale non era nemmeno in grado di fornire i documenti e informazioni sulla base delle quali sono state imposte le sanzioni». Il Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca (DEFR) ha dovuto richiedere i fascicoli dei singoli casi all'Ue. Una procedure che il consigliere nazionale trova scorretta e non tollerabile.
Il Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca (DEFR) non ha voluto commentare il contenuto del dossier UE. L'ufficio sottolinea, tuttavia, che le autorità svizzere «analizzano e convalidano» le informazioni ricevute dall'Ue e svolgono anche le proprie indagini. «Su questa base, il DEFR o il Consiglio federale decidono sulla rimozione delle richieste», ha affermato una portavoce.