Disturbi alimentari, ansia, solitudine, depressione, l'esperto racconta: «Uno su cinque soddisfa i criteri per una diagnosi psichiatrica»
BASILEA - Ansia, disturbi ossessivo-compulsivi, depressione: molti bambini e giovani ne soffrono. Alcuni di questi affrontano il problema con Frank Köhnlei. Lo psichiatra infantile e dell'adolescenza di Basilea ha l’agenda sempre piena e conosce bene la mente dei giovani d’oggi. In una lunga intervista rilasciata alla SonntagsZeitung dipinge un ritratto di questa generazione «fragile».
«Ho a che fare con adolescenti che compiono da due a tre tentativi seri di suicidio a settimana (qui l'allarme lanciato nelle scorse settimane da Pro Juventute). Con ragazze che si vendono a uomini d'affari tramite Badoo per 500 franchi. Con un paziente di 18 anni il cui padre gli ha detto di preferire "una s..a in un angolo" piuttosto che fargli da genitore. Con una paziente adolescente costretta a mangiare tutto quello che c’era nel piatto. La stessa ha poi vomitato, perché era troppo, e le è stato ordinato di mangiare il vomito», spiega.
Per Köhnlei sono pochi i casi in cui si assiste veramente a genitori puramente sadici, che agiscono per il piacere di torturare. «Tutti gli altri sono sopraffatti, impotenti o semplicemente ignoranti. Non riescono a pensare a niente di meglio della "risoluzione del problema"».
Come aiutarli? «Quando sono arrivato alla psichiatria infantile e adolescenziale, 20 anni fa, sono rimasto sbalordito - spiega lo psichiatra -. In clinica ho visto per la prima volta ragazze gravemente anoressiche. Pesavano 27 chili, erano più morte che vive. Lì ho pensato: cosa potrei fare? Più sono in questa professione, più mi convinco che possiamo aiutare questi giovani. Sorprendentemente spesso con l’umorismo».
Disturbi alimentari, ansia, solitudine, depressione. Le segnalazioni di problemi di salute mentale sembrano essere in aumento, ma Köhnlei preferisce esimersi dal fare stime: «Trovo difficile dare un parere - aggiunge -. Nel nostro lavoro vediamo solo ragazzi disturbati, malati e oppressi. Non entriamo nemmeno in contatto con i tanti che stanno bene e che hanno anche gestito bene la pandemia».
Molto più semplice è per lui stabilire chi è malato e chi non lo è affatto: «Attualmente - prosegue l'esperto - ci sono molti giovani che raccontano sui social della propria presunta depressione. Ecco, recentemente una paziente mi ha detto: "Auguro loro di provarla davvero, anche solo per un'ora". È infatti normale essere tristi, sconvolti o di cattivo umore, soprattutto da adolescenti. Ma questa non è depressione. Sappiamo però che circa il 20% dei bambini e degli adolescenti soddisfa i criteri per una diagnosi psichiatrica. Questo vale per varie malattie».
E durante la pandemia alcune di queste sembrano aumentate: «Oltre alla depressione abbiamo trattato molti disturbi alimentari e disturbi ossessivo-compulsivi. Attualmente sto curando un tredicenne che, forse in connessione con un'infezione da Coronavirus, ha iniziato a compiere azioni in modo compulsivo. Si mette e si toglie gli stessi pantaloni per ore. Poi va in bagno e deve buttare ogni strappo di carta igienica, uno per uno. Non può più frequentare la scuola. È arrivato al punto di dover essere portato in pronto soccorso».
C'è poi l'ADHD, uno dei disturbi psichiatrici più comuni nei giovani. «Circa il 4% ha l'ADHD, il che significa in media almeno un caso in ogni classe scolastica - sottolinea Köhnlei -. I bambini con ADHD hanno una disabilità. A scuola sono visti come clown, piacciono a tutti perché infastidiscono l'insegnante in modo divertente, ma nessuno è veramente loro amico perché sono fastidiosi. Fondamentalmente sono bambini tristi consapevoli di non poter fare le cose come gli altri».
Tra i casi più inquietanti ci sono anche gli adolescenti che soffrono di autolesionismo. «Coinvolgono più di un quarto dei giovani di età compresa tra i 15 e i 18 anni. Per molti è una forma di auto-rappresentazione. È un po' come mostrare un tatuaggio. Quelli che lo fanno per moda, per così dire, presto si fermano. Per altri diventa una sorta di dipendenza. Il taglio si chiama anche "suicidio parziale": fingo di uccidermi, ma non devo morire. Per questi giovani l'autolesionismo è un compromesso, un modo per sopravvivere».
Oggi la lista d’attesa per finire in terapia è lunga, bisogna aspettare anche mese. L'esperto invita a non sottovalutare i campanelli d'allarme come può esserlo «un comportamento che persiste per più di quattro settimane, dirompente, invalidante o angosciante e per il quale non esiste una spiegazione ragionevole».
Quella attuale è una generazione sfortunata? Köhnlei ne dubita: «Noi abbiamo dovuto fare i conti con la minaccia nucleare. I problemi sono cambiati, ma non credo che oggi i giovani debbano affrontare uno stress maggiore. Ogni generazione ha la sua follia da combattere».