Troppe assenze per malattia e l'essere rimasta incinta le sono costate il posto. Ma per i giudici, la maternità non andava considerata
GINEVRA - Una giovane poliziotta, precedentemente lasciata a casa, dovrà essere reintegrata. La giustizia ritiene che Sophie*, "scartata" dopo il suo periodo di apprendistato nella polizia, sarebbe stata vittima di discriminazione in quanto donna.
Un esempio? Come riporta oggi la Tribune de Genève, il congedo maternità non avrebbe dovuto essere considerato tra le assenze che, per non averle dato tempo di essersi messa sufficientemente alla prova, hanno portato alla decisione di non integrarla nel corpo di polizia.
L'agente, sulla trentina, ha indossato la divisa nel 2019 per un periodo di prova di due anni. Ha continuato lo "stage", non senza difficoltà. Le sue prime due valutazioni indicavano già delle carenze. Sensibile, la poliziotta «manca di fiducia in se stessa», indicavano i suoi superiori. In strada, «è stressata e perde il controllo», faticando per dover «correggere i suoi stessi errori». Inoltre, nel corso della sua breve carriera, la giovane è andata in congedo per malattia una dozzina di volte. Nel 2021, poi è rimasta incinta andando in congedo maternità.
Tirocinio «traumatico»
Dopo un'estensione del suo periodo di prova di un anno (il massimo previsto), la direzione le ha infine comunicato, mentre era in congedo, che non avrebbe ottenuto la nomina. «Viste le sue assenze per motivi di salute, e la maternità, non è stato possibile per i suoi superiori valutarla per un periodo sufficiente, in particolare sui vari punti da migliorare», viene indicato.
La giovane agente, invece di ingoiare il boccone amaro, si è rivolta a un avvocato opponendo ricorso. Le sue assenze, ha spiegato, sarebbero giustificate dalle «molestie traumatiche» subite durante il periodo da tirocinante.
«Il suo primo supervisore la chiamava "tesoro" e la abbracciava», si legge nell'atto presentato dal legale. Tutto ciò evoca dunque un atteggiamento "tossico" da parte dei suoi superiori, condito da «osservazioni misogine» e «incessanti prese in giro» sulla sua sensibilità.
Questo clima deleterio è solo peggiorato, secondo l'agente. Dopo aver chiesto un sostegno psicosociale è stata ricevuta dal suo capostazione, «il quale ha detto che il problema veniva da lei e che doveva resistere alle pressioni». La poliziotta, esausta, ha moltiplicato le assenze per malattia fino alla maternità.
Sophie ha chiesto di essere reintegrata. Se non ha potuto superare le valutazioni, è per una «combinazione di circostanze». Inoltre il periodo di prova avrebbe dovuto essere prorogato per un tempo equivalente a quello della gravidanza.
«Trattata come sarebbe stato trattato un uomo»
Le risorse umane non sono d'accordo. «Le disabilità mediche, dovute alla gravidanza o ad altre cause, vengono trattate allo stesso modo. Un uomo assente per ragioni mediche per un periodo di tempo equivalente a quello di Sophie – anche per una condizione specifica degli uomini, come un problema alla prostata – sarebbe stato quindi trattato allo stesso modo». Per le forze dell'ordine il problema di fondo rimane lo stesso: la dipendente non è riuscita a «colmare le sue lacune».
Tuttavia, il tribunale si è pronunciato accogliendo parzialmente il ricorso della donna. Il periodo di prova può essere prorogato solo di un anno, ma la poliziotta ha subito «una discriminazione indiretta a causa del suo sesso».
Secondo i giudici, insomma, il datore di lavoro avrebbe dovuto prolungare il periodo di prova per la durata della gravidanza e del congedo di maternità, cioè quattro mesi e dieci giorni. La ricorrente, che riceverà un risarcimento di 2.000 franchi, dovrà quindi essere reintegrata come apprendista agente di polizia per questo periodo.
*nome fittizio.