Sarà ricorso contro l'assoluzione dei sei agenti che nel 2018 fermarono con la forza il 40enne nigeriano (che morì per arresto cardiaco).
LOSANNA - Come preannunciato il giorno del verdetto, la famiglia di Mike Ben Peter - il nigeriano di 40 anni che nel 2018 morì per arresto cardiaco dopo essere stato fermato con la forza dalla polizia per un controllo antidroga a Losanna - ha fatto ricorso al Tribunale cantonale contro l'assoluzione dei sei agenti coinvolti nella vicenda sancita giovedì scorso dal Tribunale distrettuale della capitale vodese.
Lo notizia, pubblicata da Le Temps, è stata confermata all'agenzia Keystone-ATS dal legale della famiglia. Per l'avvocato, l'istruzione probatoria non si sia svolta correttamente.
Secondo la ricostruzione dei fatti, Mike Ben Peter, che al momento del fermo nascondeva in bocca palline di cocaina, si è battuto contro il suo arresto. Per contenerlo, la polizia lo ha malmenato e ha fatto uso di spray al peperoncino, prima di immobilizzarlo a pancia in giù e ammanettarlo. Era poi morto per un arresto cardiaco.
Le perizie realizzate durante l'inchiesta hanno dimostrato che il fermo in posizione prona non basta, da solo, a spiegare la morte di Mike. Per questo motivo i giudici del Tribunale distrettuale di Losanna hanno assolto i poliziotti. Da notare che anche il procuratore, dopo aver preso conoscenza della perizia, aveva rinunciato a chiedere la condanna degli agenti per omicidio colposo.
Imbrattato palazzo di giustizia - Intanto durante lo scorso weekend ignoti hanno commesso atti di vandalismo contro facciata del Palazzo di giustizia di Montbenon, a Losanna. La porta d'entrata è stata imbrattata con pittura bianca, mentre sui muri sono apparse le scritte "RIP" e "Mike". Contro gli atti vandalici è stata depositata una denuncia.
Le proteste - Nei giorni precedenti che iniziasse il processo contro i sei agenti coinvolti si sono svolte diverse manifestazioni che denunciavano il razzismo e la violenza della polizia. «Il nostro ruolo è quello di continuare a denunciare la polizia e la violenza razziale, così come il silenzio e persino il sostegno delle autorità», aveva precisato il collettivo Kiboko, nato dopo la morte del 40enne.