Consegnate le firme inizia il lungo percorso che ci porterà (forse) alle urne. Ma secondo molti questa volta non sarà come con no-Billag
ZURIGO - Firme raccolte e consegnate da poco, ancora nessun passaggio in Parlamento in vista e una chiamata alle urne verosimilmente ancora molto lontana. Malgrado tutto ciò l'iniziativa per un canone della Serafe da 200 franchi sta già scaldando gli animi. E non solo all'interno dei corridoi della radiotelevisione pubblica.
Andando con ordine, l'iniziativa popolare “200 franchi bastano!” lanciata da un comitato multipartitico e laico (con esponenti di Udc e Giovani liberi pensatori in prima fila) chiede di ridurre in maniera importante l'attuale canone radiotelevisivo (a 200 franchi, appunto) e di esentare le imprese dall'obolo. Si tratta, è probabile che ve lo ricordiate, di un secondo tentativo di “mettere mano” al canone radio-tv dopo l'iniziativa no-Billag che la popolazione svizzera aveva bocciato in maniera netta (71% dei contrari) nel 2018. E, a quei tempi, il canone era anche più caro di adesso (era di 451 franchi).
Non sarà (di nuovo) un plebiscito
La sensazione diffusa fra gli addetti ai lavori, è che questa volta non sarà così facile: «Non importa con chi si parli, quasi nessuno pensa che l'iniziativa non abbia alcuna possibilità di farcela», scrive il TagesAnzeiger che si è chinato sull'argomento nell'edizione di giovedì.
I motivi sono diversi, da una parte il peso del rincaro e della congiuntura sulle famiglie, dall'altro uno scenario audiovisuale completamente diverso con una preponderanza di social network e servizi streaming. In questo panorama la televisione e la radio diventano parte di un mosaico e non più in veste di attori centrali e primari.
Anche per quanto riguarda l'informazione, gran parte della popolazione si rivolge all'online. Stando al Digital News Report di Reuters, per quanto riguarda l'informazione i giovani mettono davanti a tutto YouTube, Instagram e Twitter.
Un cambiamento di fruizione che non è sfuggito a SRG-SSR che ha lanciato diversi format sui social per tentare proprio di raggiungere i più giovani (e lo ha fatto, con successo, anche in Ticino). Parte del dibattito politico (e non solo) riguarda il fatto che non è chiaro se un'azienda di servizio pubblico possa e debba utilizzare questo tipo di canali - app e social di aziende comunque private - per diffondere informazioni e contenuti.
«È il primo passo per smantellare il servizio pubblico»
Per i contrari, che stanno già lavorando riuniti in un'associazione ad hoc chiamata Alleanza diversità mediatica, l'iniziativa è una vecchia minaccia mascherata da un qualcosa di nuovo e diverso: «È evidente che si tratta del primo di due attacchi volti a distruggere il servizi pubblico», commenta al quotidiano zurighese l'analista e direttore dell'Alleanza Mark Balsiger, «dopo il primo sì, che depotenzierà così tanto la radiotelevisione da renderla totalmente appetibile, i libertari ritorneranno alla carica chiedendo l'abolizione completa del canone».
Per Balsiger un altro argomento da impugnare contro quella che loro già chiamano “no-Billag 2” è quello della qualità dell'informazione: «Avere una società ben informata dovrebbe valere la spesa». Vero è che oggigiorno - lo confermano sondaggi e dati - è sempre più evidente come solo una minoranza della popolazione sia effettivamente disposta a pagare per essere informata.
Una realtà dei fatti, questa, che fa forti gli iniziativisti secondo i quali la borsa, soprattutto per le giovani famiglie, sarebbe sempre più stretta. In quest'ottica si giustificherebbe il canone ridotto di 200 franchi che dovrebbe garantire un servizio di base d'informazione, «poi dev'esserci la libertà di decidere se guardare un telefilm sulla SSR oppure una serie su Netflix o abbonarsi a un portale di notizie online», spiegano.
In politica un fronte frastagliato
A rendere questo calderone ancora più ribollente ci si mette la politica, mai così divisa. Se nel 2018 i fronti erano netti, oggi lo scenario è assai meno chiaro. Per no-Billag gli schierati apertamente favore erano solo alcuni esponenti UDC, i possibilisti per l'iniziativa dei 200 franchi potrebbero invece essere di più.
I liberali sono spaccati (alcuni di loro sono anche nel comitato proponente) e anche alcuni esponenti di spicco del PS non hanno nascosto le proprie critiche alla gestione del Servizio pubblico. Cambio di fronte, invece, per diversi esponenti Udc che - questa volta - sono fortemente contrari all'iniziativa.
Proprio in casa democentrista è senz'altro interlocutoria la posizione del consigliere federale Albert Rösti: formalmente parte del comitato d'iniziativa da prima dell'elezione, sarà proprio il suo Dipartimento federale dell'ambiente, dei trasporti, dell'energia (Datec) a prendere in mano “la patata bollente”. Quando, e se, sarà il caso.