Il Tribunale amministrativo federale di San Gallo ha dato ragione al suo datore di lavoro.
SAN GALLO - È finita male per un dipendente pubblico che si divertiva a sfogare la propria rabbia sui social. Nei suoi commenti attaccava il Consiglio federale e insultava le donne, tanto da spingere il suo datore di lavoro a licenziarlo in tronco. E il Tribunale amministrativo federale di San Gallo gli ha dato ragione, giustificando la sentenza: «la lealtà verso il datore di lavoro prevale sulla libertà di espressione». A darne notizia il Tages-Anzeiger.
Insulti sui social - Era il giugno del 2020 quando a causa della pandemia, il governo federale aveva stabilito che per accedere ai luoghi pubblici era necessario il certificato di vaccinazione contro il Covid. Il funzionario aveva dunque esposto il suo dissenso scrivendo frasi sui social come «MENZOGNA DOPO MENZOGNA... #SWITZERLAND #STOPTHEAPP #COVID19», oppure «Tutto sempre volontario, aveva promesso il Consiglio federale. OBBLIGATORIO DAL 6.6!».
Tutto rimasto nell'ombra, fino a quando il 6 settembre del 2022, il funzionario ha deciso di inviare una e-mail indirizzata a tutti i colleghi del suoi ufficio, criticando l'utilizzo del linguaggio paritario e definendolo «follia di genere».
La goccia che ha fatto traboccare il vaso - Da lì, il suo supervisore è stato informato dei post precedenti. Su Twitter, per esempio, sono stati rintracciati commenti in cui mancava di rispetto alle donne. Sotto a una foto ha scritto: «Perché queste 'cose' sono brutte, grasse da morire?». O ancora: «Grassa come l'inferno». La lettera di licenziamento è stata immediata e senza preavviso.
Le sue generalità, così come quelle del suo capo e dell'ente per cui lavorava non sono note. Negli atti della sentenza, scrive il quotidiano zurighese, si legge che il funzionario ha preso parte a riunioni con autorità dell'Unione europea in qualità di osservatore e che è stato relatore per un'istituzione internazionale del settore finanziario. Ha poi condotto trattative in ambito internazionale e ha avuto accesso a documenti riservati. Sul suo datore di lavoro si sa, invece, che ha viaggiato a livello internazionale per conto di un'agenzia federale, si è recato anche nella sede della Commissione europea a Bruxelles, a Palazzo Berlaymont.
La sentenza - Un dipendente pubblico è fondamentalmente libero nella sua «condotta di vita personale» «nel quadro dell'ordinamento giuridico generale», si legge all'inizio della sentenza. «In particolare, ha il diritto di formarsi liberamente un'opinione e di esprimerla e diffonderla senza ostacoli». Tuttavia, secondo i giudici, «deve osservare i limiti» derivanti dalla sua posizione speciale. «La libertà di espressione trova i suoi limiti quando il suo comportamento pregiudica la conduzione del suo ufficio e la fiducia del pubblico nell'amministrazione».
Insomma, secondo il tribunale un semplice ammonimento disciplinare non sarebbe bastato. Il licenziamento è stato necessario «per preservare la reputazione dell'ufficio». Infine, il funzionario non si è dimostrato «disposto a cambiare atteggiamento».
Il funzionario non accetta la sentenza - Dal canto suo, l'uomo si è difeso sostenendo che il suo diritto di essere ascoltato era stato violato. Il datore di lavoro non gli aveva spiegato il vero motivo del licenziamento. L'agente ha poi aggiunto che misteriosamente era stato registrato un altro account Twitter a suo nome. Un tentativo, a suo avviso, per screditarlo. Ora impugnerà la sentenza di fronte al Tribunale federale.