Lo scambio di informazioni bancarie con gli altri Stati ha ridimensionato il fenomeno
BERNA - Un tempo la Svizzera era l’approdo sicuro per quanti volevano custodire all’estero i propri capitali, sottraendoli alle attenzioni fiscali degli Stati di appartenenza.
Ormai da tempo però non è più così e anzi, grazie allo scambio automatico di informazioni bancarie tra i vari Governi, si è dato un duro colpo all’evasione fiscale.
Secondo uno studio dell'Osservatorio fiscale dell'UE, negli ultimi dieci anni, l’evasione fiscale tramite la creazione di conti all’estero è diminuita di due terzi. Secondo questa analisi le attività finanziarie detenute all'estero ammontavano a circa 12.000 miliardi di dollari.
«Prima della crisi finanziaria del 2008 e del 2009, la Svizzera gestiva quasi la metà di questi averi offshore», scrivono gli autori della ricerca. Ebbene, oggi questa percentuale «è scesa a circa il 20%», sottolineano.
Secondo un altro studio in materia, tra il 2007 e il 2008, circa l'85% di tutti i conti in Svizzera dei clienti statunitensi di Ubs e Credit Suisse non erano stati denunciati alle autorità fiscali. Ecco allora che dal 2010 intervenne il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) che impone agli istituti finanziari stranieri di fornire informazioni sui conti americani alle autorità fiscali statunitensi (dal giugno 2014 vi partecipa anche la Svizzera).
Dunque, con l’incremento dei controlli e poi con lo scambio di informazioni bancarie - nel febbraio del 2023 la Svizzera aveva collaborato con 104 Stati in tale contesto, fornendo dati su 3,6 milioni di conti - si è imposta l’inversione di tendenza.
Ad oggi, parte del denaro offshore è migrato in Asia, in particolare a Singapore e Hong Kong.