Nili Margalit lancia un appello per la liberazione delle 136 persone ancora detenute
DAVOS - «Sono una persona semplice» e «non dovrei essere qui». Nili Margalit è stata tenuta in ostaggio da Hamas per quasi due mesi. È venuta a Davos (GR) per chiedere al mondo di impegnarsi per il rilascio delle 136 persone ancora detenute.
«Non tornerò mai alla vita che avevo prima del 7 ottobre», ha dichiarato la 41enne israeliana in un'intervista a Keystone-ATS. Insieme ad altri, è la prima ex ostaggio a visitare la Svizzera dopo il suo rilascio. «Non riesco a esprimere la mia preoccupazione per coloro che ho lasciato», ha dichiarato la donna, che ammette di «non stare bene». Sta partecipando «alla conferenza più importante del mondo per parlare a loro nome perché loro non possono farlo».
Il CICR non è responsabile dei medicinali
Per non mettere in pericolo gli ostaggi, non vuole raccontare quello che pensa, né riferire delle discussioni che ha avuto con i suoi rapitori. Ma i loro volti sono ancora ben presenti nella sua mente.
Margalit, di professione infermiera, ha aiutato la ventina di anziani detenuti con lei da Hamas in un tunnel. Ha stilato una lista di medicinali ed è diventata «i loro occhi», poiché la maggior parte di loro non aveva con sé gli occhiali dopo l'attacco del gruppo al loro kibbutz. «In questo modo sono riuscita a trovare un senso a questa prigionia», dice.
Mancanza d'aria, una ciotola di riso e mezza fetta di pane come unico pasto giornaliero, mancanza di medicinali, le condizioni erano difficili. Le autorità israeliane e le famiglie degli ostaggi hanno criticato il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) per la sua incapacità di fornire le medicine necessarie agli ostaggi. Mirjana Spoljaric, presidente dell'organizzazione umanitaria, ha risposto dicendo che queste accuse mettono in pericolo sia gli ostaggi che il personale del CICR.
«Capiamo che il CICR non ha alcuna autorità a Gaza», ha dichiarato Noam Peri, figlia di un ottuagenario ancora detenuto nel tunnel. La responsabilità può essere attribuita solo ad Hamas, dice. Ma l'organizzazione, gli Stati Uniti, il Qatar e tutti i presenti a Davos «devono fare tutto il possibile» e «scegliere da che parte stare».
Fiducia anche nella Svizzera
Margalit non intende lasciare Israele. Ma non può tornare a casa sua. «La mia casa è bruciata. Non mi è rimasto nulla». Suo padre è stato ucciso il 7 ottobre da Hamas. Profondamente colpita, non può guardare avanti finché gli ostaggi non saranno liberati.
Da parte sua, Noam Peri sa che suo padre, è «un uomo forte» e «ottimista». A differenza di altre famiglie di ostaggi, non si esprime sulla decisione del Consiglio federale di considerare Hamas un'organizzazione terroristica. «Non sono un diplomatico, né un politico», spiega.
«Non posso dire alla Svizzera quale sia l'approccio migliore», aggiunge, affermando di «confidare» che Berna trovi la strada migliore da seguire. Spera comunque che la Svizzera cerchi di dare il suo contributo.