Sgonfiato lo scandalo dello pseudo-buco da 1,2 miliardi, il comandante dell'esercito si concede in intervista: «Sono preoccupato».
LUCERNA - Dall'inizio dell'anno l'Esercito svizzero, così come il suo comandante Thomas Süssli e la consigliera federale Viola Amherd, sono finiti nel centro del mirino.
Il motivo è da ricercare in un fantomatico (o meno) buco miliardario nel bilancio di cui ha parlato per prima la Srf - seguita poi da diversi altri media nazionali - e che ha portato i due davanti alla Commissione delle finanze del Consiglio nazionale (Cdf-N).
Süssli ha poi negato l'esistenza dell'ammanco - inizialmente parlando di «colli di bottiglia di liquidità», ritrattando giorni dopo - e alla stessa conclusione è poi arrivata anche la Cdf-N nel suo rapporto finale. Insomma, pare, tanto rumore per nulla.
Il comandante dell'armata svizzera ha recentemente parlato dell'esercito che vorrebbe, sulle pagine della Luzerner Zeitung: «Sono molto preoccupato», esordisce, «dopo la guerra in Ucraina lo scenario della sicurezza in Europa e nel mondo è cambiato in maniera radicale».
20'000 uomini in più, schierati a medio termine - La Svizzera, secondo lui, si troverebbe in affanno e l'esercito attuale sarebbe carente tanto di mezzi quanto di uomini. L'idea è quella di aumentare il numero di soldati dagli attuali 100'000 a 120'000. Questi ulteriori 20'000, perlopiù di fanteria, dovrebbero rimanere schierati in maniera semi-permanente sul territorio.
«Un piano possibile sarebbe quello di comporre queste unità con militi d'esperienza, che hanno ultimato il loro periodo di esercizio ma che decidono di rimanere attivi. Per questo tipo di cambiamento sarà necessario una riforma del sistema di leva obbligatoria. In ogni caso sarà necessario aspettare e vedere cosa deciderà il Consiglio federale alla fine dell'anno».
Da Berna, infatti, sono attese risposte per quanto riguarda il budget dei prossimi anni.
Per quanto riguarda i fondi, si può fare di più - Al momento l'esercito svizzero è 22esimo, per numero di soldati pro-capite, e 116esimo per quanto riguarda il rapporto di costi in riferimento al PIL. Per Süssli, in questo senso, c'è ampio margine di miglioramento: «Per un esercito in grado di garantire una difesa alla sua popolazione sono necessari circa 50 miliardi di franchi, da 8 a 10 di questi solo per munizioni, pezzi di ricambio e rifornimenti».
Secondo i piani attuali si tratta di un obiettivo che potrà essere raggiunto verosimilmente entro la fine degli anni 2030 e l'inizio degli anni 2040: «Sarebbe troppo tardi», chiosa il comandante. Per questo motivo l'esercito ha già deciso di procedere gradualmente secondo un percorso “adattivo” in base modulare.
Il primo "step", dal costo di 13 miliardi, potrebbe essere finanziato entro 2031 se il budget verrà portato all’1% del Pil entro il 2030.
«Avremo quindi i nuovi aerei da caccia, la difesa aerea a lungo raggio, medio e corto, l’infrastruttura digitale per la protezione informatica e l’equipaggiamento completo per un terzo delle truppe di terra. Durante questo periodo pianificheremo poi il secondo passo, che sarà adattato alla situazione di minaccia», aggiunge Süssli.
Altra certezza: l'esercito svizzero deve farcela da solo e non deve dipendere dalla Nato, quindi una possibile adesione all'Alleanza è ancora esclusa. Se ne potrà parlare solo in caso di conflitto reale.
«È vero che non possiamo resistere a lungo da soli in caso di attacco diretto, in quel caso, il principio di neutralità andrebbe a cadere e quindi il Consiglio federale potrebbe chiedere aiuto ai Paesi vicini», conclude.