Un atteggiamento, quello dei giovani, favorito da genitori "amici" e che potrebbe presto mettere in pericolo il benessere della Svizzera.
BERNA - Per i giovani il lavoro ha perso prestigio, i 15-30enni non si definiscono nel loro impiego, ma in quello che fanno nel tempo libero: un atteggiamento frutto della situazione demografica - penuria di manodopera - e dell'educazione dei genitori che potrebbe mettere in pericolo il benessere di un paese come la Svizzera. Lo sostiene Rüdiger Maas, noto psicologo tedesco specializzato nella ricerca sulle generazioni.
Rapporto invertito - «Per la generazione Z» - cioè i nati tra il 1996 e il 2010 - «il rapporto si è invertito: non sono i giovani a candidarsi per un impiego, sono le aziende a candidarsi per assumerli, sono esse che devono fare degli sforzi per reclutarli», sostiene il 45enne in un'intervista pubblicata oggi dal St. Galler Tagblatt. «O per dirla in altro modo: in alcuni settori, come quello informatico, i giovani si sentono più clienti che dipendenti e, come tutti sappiamo, il cliente è re».
«Da un lato, il lavoro è meno al centro della vita dei giovani di un tempo, dall'altro ci sono molti più posti vacanti, il che significa che i giovani devono fare meno sforzi», prosegue il direttore dell'Institut für Generationenforschung (istituto per la ricerca intergenerazionale) di Augsburg (Augusta, in Baviera). «La maggior parte di loro non pensa nemmeno a prepararsi per un colloquio di lavoro. Non sono nemmeno un po' nervosi».
Le aspettative - Cosa si aspettano dal datore di lavoro? «Di norma la possibilità di finire presto la giornata, di avere ferie a sufficienza e di essere impiegati a orario ridotto. Vogliono essere inoltre percepiti positivamente e apprezzati, quindi cercano un ambiente di lavoro piacevole in cui non ci sia una forte pressione sulle prestazioni».
«Cercano la Work-Life-Separation, cioè una chiara divisione tra professione e tempo libero», prosegue lo specialista con studi in Germania e Giappone. Il senso del lavoro? «Questo è un tema per le generazioni precedenti: i giovani d'oggi non cercano più un significato nel lavoro, ma nel tempo libero. Un buon lavoro ha perso il suo prestigio, le persone non si definiscono più attraverso la loro professione. Io mi sento ancora uno psicologo dopo il lavoro, sono sicuro che lei si sente un giornalista: non sarà più così per i vostri futuri dipendenti».
Il guadagno non è un fattore - Ma chi lavora maggiormente - osserva il cronista - guadagna anche di più: questo non attira? «Tutti i giovani hanno uno smartphone, molti hanno un iPhone da 1000 franchi, lo pagano i genitori. Di conseguenza non hanno più fame quando entrano sul mercato del lavoro. E i grandi obiettivi sono ormai irrealistici: la classe media non può quasi più permettersi una casa. L'auto non è più uno status symbol. Perché guadagnare di più quando si può avere più tempo libero?».
Il ruolo dei genitori - Secondo l'esperto queste tendenze dipendono da una parte dalla scarsità di manodopera, cioè dalla stessa situazione demografica, dall'altra dall'educazione dei genitori. «Per loro i figli sono la cosa più importante, quindi fanno il più possibile a loro beneficio. La generazione Z è abituata a un ambiente circostante che si adatta, non ad abituarsi all'ambiente. Non hanno imparato che a volte occorre impegnarsi».
«Purtroppo i genitori non sollecitano più i loro figli: al contrario, li imitano e agiscono nel mondo dei bambini. Non si vedono più come educatori, ma come migliori amici dei ragazzi. Così facendo, sbagliano nella concezione del loro ruolo». Le conseguenze? «Rendono difficile lo sviluppo dei figli come individui indipendenti. Oggi i figli discutono di tutto con i genitori. Ad esempio, se i giovani non sono sicuri di dover lasciare il posto di lavoro, chiedono ai genitori, anche se hanno trent'anni. E se sono alla ricerca di un nuovo impiego, mamma e papà sono pronti ad aiutarli. Questo funziona solo perché i figli di oggi condividono gli stessi valori dei genitori: si chiama neo-convenzionalismo. Una volta le persone si scontravano con i loro genitori: la generazione del '68 era ribelle e veniva rimproverata dagli anziani. Il movimento Friday for Future, invece, viene lodato da genitori e insegnanti».
«Non imparano a perdere» - «Le prestazioni sono discreditate», continua Rüdiger. «Nel calcio, nei campionati giovanili di basso livello non esistono più classifiche: ai bambini è vietato vincere. Ma ancora peggio: si impedisce ai bambini di imparare a perdere. Questo è fatale. E forse è solo l'inizio. Se non ci sono più classifiche nel calcio, probabilmente presto saranno aboliti anche i voti in ginnastica, poi quelli in disegno e infine in matematica. Non ci sono prove scientifiche che i bambini che perdono a calcio sviluppino disturbi mentali. Stiamo svalutando le prestazioni e proteggendo qualcosa che non ha bisogno di essere protetto».
Il ruolo dei social media - Importante è anche il ruolo dei social media. «Durante la pandemia, i ragazzi hanno trascorso tra le 60 e le 70 ore alla settimana sui social. Ciò significa che la formazione sociale nel mondo analogico è stata trascurata. I flussi infiniti su Instagram e TikTok suggeriscono migliaia di grandi opportunità: c'è un influencer fighissimo che si sta rilassando sulla spiaggia di Bali e io devo lavorare qui?».
«Inoltre, i social media stanno portando a un livellamento dei valori», insiste l'autore di diversi libri, l'ultimo dei quali porta il titolo "Genaration arbeitsunfähig" ("Generazione incapace di lavorare: come i giovani ci costringono a ripensare il lavoro e la società di oggi"). «In passato se qualcuno era vittima di bullismo almeno conosceva i suoi aguzzini. Non è questo il caso del cyberbullismo. Se pubblico qualcosa di sbagliato, può scatenarsi una shitstorm e improvvisamente centinaia di migliaia di persone anonime si prendono gioco di me. Questo è catastrofico per un quindicenne. Di conseguenza per evitare tutto questo i ragazzi si comportano in modo socialmente desiderabile».
Un problema per l'economia - Riassumendo, c'è una carenza di manodopera qualificata e una giovane generazione per la quale il lavoro non è più così importante: quali le conseguenze per l'economia? «Sono lì da vedere. Inizialmente smetterà di crescere così rapidamente, poi ristagnerà e infine si ridurrà. È il caso della Svizzera, della Germania e di altri paesi dell'Europa centrale. La storia è diversa in Spagna, dove abbiamo avuto un lungo periodo di disoccupazione giovanile: ora sono affamati». E fuori dall'Europa? «La Generazione Z è maggioritaria in Africa, dove il mercato del lavoro è competitivo. E grazie alla digitalizzazione, possono offrire i loro servizi sul mercato del lavoro globale più facilmente di prima. Anche in molti paesi asiatici, anche in quelli in cui il tasso di natalità è in forte calo, la fame di realizzazione è visibile. I giovani non sono soddisfatti della loro situazione materiale e riconoscono di avere la possibilità di cambiarla attraverso il lavoro», conclude l'intervistato.