Nelle donne sintomi riconosciuti troppo tardi. L'organizzazione Women's Brain Foundation: «Anche nel sistema sanitario svizzero»
ZURIGO - Umore deflesso, procedimenti dimenticati. Sintomi che lasciano intendere ai medici una sola diagnosi: si tratta di depressione. E invece, molto spesso, non è così. Soprattutto se la paziente è una donna. È quanto emerge dalla campagna lanciata dall'organizzazione Women's Brain Foundation, denominata provocatoriamente “Anche voi siete contrari alle quote rosa?”, con l'intento di sensibilizzare sulle differenze di genere in medicina.
Una questione da sempre sottovalutata, come ammesso da Antonella Santuccione Chadha, fondatrice, presidente e amministratore delegato pro bono dell'associazione. «Le differenze di genere svolgono un ruolo centrale in medicina. Influenzano i sintomi, la progressione della malattia, la risposta al trattamento e la sicurezza dei farmaci. Purtroppo, il fattore femminile non è stato preso sufficientemente in considerazione nella ricerca preclinica, ad esempio negli esperimenti sugli animali con i topi, e nello sviluppo clinico con soggetti umani. Di conseguenza, sappiamo poco su come funzionano i farmaci nelle donne o su come si sviluppano le malattie nelle donne», ha dichiarato a 20 Minuten il medico esperto in neuroscienze e malattie neurologiche e psichiatriche.
Questo emerge in modo particolare nella diagnosi delle malattie neurologiche: «Il 70% dei pazienti affetti da Alzheimer sono donne, e la percentuale sale all'80% per la depressione, l'ansia, la sclerosi multipla e l'emicrania». Tuttavia, prosegue, «l'Alzheimer nelle donne è spesso erroneamente diagnosticato come depressione. Si dice che la donna è stressata o sola perché i figli se ne sono andati di casa e il marito sta invecchiando, ma spesso si riconosce anni dopo che questi sono gli inizi della malattia di Alzheimer. Vediamo questi ritardi anche in sistemi sanitari molto sviluppati come quello svizzero».
In più, l'impatto sui costi sanitari è notevole. «Se non conduciamo una buona ricerca e non produciamo farmaci efficaci fin dall'inizio, il sistema sanitario si ritroverà a dover assorbire le conseguenze di diagnosi tardive e quindi di donne sempre più malate e con più effetti collaterali».
In Svizzera, intanto, l'industria farmaceutica pare stia compiendo dei passi in avanti. «È stato riconosciuto la necessità di condurre una maggiore ricerca sulle donne. Le università svizzere stanno integrando la medicina di genere nei loro programmi di studio e le autorità regolatorie sono consapevoli del problema. Inoltre, il Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS) ha stanziato 11 milioni di franchi svizzeri per promuovere la ricerca di genere nei prossimi quattro anni», ha concluso.