Tra gennaio e febbraio c'era più preoccupazione che le notizie in arrivo dalla Cina potessero scatenare il panico.
È tutto scritto in alcuni promemoria del Dipartimento federale dell'interno, richiesti e ottenuti da un attivista.
BERNA - Un anno fa il Dipartimento federale dell’interno (Dfi) si è trovato a che fare per la prima volta con un virus che in Cina stava cominciando a creare parecchie preoccupazioni e che, nei mesi successivi, si è propagato in tutto il mondo: il Sars-CoV-2.
Solo che le autorità federali avevano considerato «moderato» il rischio che il coronavirus arrivasse in Svizzera. Lo si legge in un documento del dipartimento guidato da Alain Berset e datato 22 gennaio, ottenuto dall'attivista Hernâni Marques sulla base di quanto sancito dalla Legge federale sul principio di trasparenza dell’amministrazione. A Marques, che voleva conoscere la valutazione del Dfi in quei mesi, sono stati consegnati tre promemoria, che ora sono stati condivisi sui social.
Rischio «moderato» - «L'attuale epidemia di polmonite con il nuovo coronavirus a Wuhan ricorda molto l'inizio degli eventi della SARS nel 2002/2003» si legge in una delle note. Una situazione da seguire con attenzione ma senza eccessivi patemi d'animo, anche sulla base di una valutazione di un pericolo non così elevato da parte dell'Ufficio federale della sanità pubblica.
Ricordiamo che in quei giorni c'era grande confusione sull'effettiva pericolosità del Sars-CoV-2 - gli stessi funzionari federali osservavano come la conoscenza del virus fosse limitata - e i provvedimenti presi da alcuni Paesi (ad esempio l'Italia, che aveva vietato l'ingresso alle persone provenienti dalla Cina) non erano presi in considerazione dalla Confederazione, dato che si riteneva che ci fosse un rischio «moderato» che il virus potesse arrivare in Svizzera. «Le misure all'ingresso non sono attualmente indicate».
Preoccupati dal panico - In quei giorni, apparentemente, la preoccupazione maggiore del Dfi era che la notizia del coronavirus potesse scatenare il panico tra la popolazione. «Il rischio maggiore in questo momento proviene da persone (spaventate) - che hanno viaggiato o no - che hanno la sensazione di essere infette e vanno da un medico o in ospedale». Una settimana più tardi il Dfi non cambia granché la propria posizione, ma qualcosa si è mosso, a partire dall'istituzione della task force dell'Ufficio federale della sanità pubblica che è attiva ancora oggi.
Tra gli altri punti interessanti c'è quello della penuria di mascherine. Il 10 febbraio si ammette che «la disponibilità in Svizzera è limitata. È attualmente in fase di elaborazione un concetto per la gestione e l'uso delle mascherine». Com'è noto, Berna ha per parecchio tempo messo in dubbio l'efficacia di questo strumento di protezione individuale, ora considerato un caposaldo del contrasto della pandemia.
Sempre in quei giorni il Dfi valutava bassa una trasmissione del virus in Europa continuata nel tempo, anche se osservava che il primo caso in Svizzera era ormai imminente. «L'Ufficio federale della sanità pubblica considera la situazione in Svizzera paragonabile a quella del resto d'Europa. Si può quindi presumere che uno o più casi confermati potrebbero verificarsi anche in Svizzera nel prossimo futuro». Il primo decesso legato al Covid-19 nel Paese è del 25 febbraio.
📢 Liebe Medienschaffende & liebe wachsame Bevölkerung
— Hernâni Marques 🦖 @hernani@chaos.social (@vecirex) January 12, 2021
Antwort #BGÖ vom Generalsekretariat EDI (GS-EDI) zu den kommunikativen #SARSCoV2-Anfängen erhalten.
Anhang 1: https://t.co/S5XZ7rIYrO (PDF)
Anhang 2: https://t.co/kpd0wemvN3 (PDF)
Anhang 3: https://t.co/NrgfC8Clyy (PDF) https://t.co/x0huEip1fe pic.twitter.com/fvLDZGtMRC