In nessuna parte d'Europa così tanti casi. L'esperta: «Tema troppo delicato per molti e in pochi sono preparati»
BASILEA - La storia è stata raccolta dalla SonntagsZeitung e riguarda un caso di bullismo di cui è rimasto vittima un bambino di 11 anni, Leon, di origine greca, picchiato con una racchetta da ping-pong. L'ultimo di una serie di atteggiamenti offensivi e di vessazioni subiti per opera di un suo compagno di scuola e del gruppo di suoi amichetti.
Il triste primato svizzero - Quanto basta per riportare a galla il gravoso bilancio in rosso che presenta il fenomeno mobbing nella Confederazione: qui, come in nessuna parte d'Europa, scrive il domenicale, vi è il più alto numero di questo genere di violenze che avvengono nelle scuole. Un triste primato.
I fatti sono stati raccontati alla SonntagsZeitung dalla madre. Un pomeriggio di novembre il figlio le telefona in lacrime, urlando qualcosa. Lei accorre e lo trova a terra e con il volto ricoperto di sangue: il referto dell'ospedale parlerà di «commozione cerebrale» e di una ferita in fronte profonda un centimetro e mezzo, oltre a lividi ed ecchimosi sulle braccia e sulle ginocchia.
Derisione e minacce sin dal primo giorno di scuola - A scuola sin dal primo giorno è deriso, minacciato e picchiato da alcuni compagni. Leon è uno di quei bambini (uno su dieci) che in Svizzera sono vittime di bullismo durante la frequentazione scolastica, come rileva lo studio "Pisa", acronimo di "Programme for International Student Assessment".
E nonostante le molte iniziative di sensibilizzazione, la messa in campo di "ammortizzatori" affidati a svariati laboratori di prevenzione, il fenomeno continua a crescere.
La famiglia di Leon si è trasferita in Svizzera cinque anni fa. Da due anni vive in una piccola cittadina nel cantone di Basilea Città. «Ci piace molto questo posto, se non fosse per questa scuola...» confessa sconfortata al cronista.
La scuola non si assume responsabilità circa l'accaduto - La scuola. È lì che la mamma di Leon ha indirizzato la sua richiesta di aiuto, oltre alla denuncia penale sottoscritta al comando di polizia. Ma il preside ha risposto che «poiché l'incidente era avvenuto mezz'ora dopo la fine della scuola - e quindi durante il tempo libero - l'istituto non era legalmente responsabile della risoluzione del caso. Questo è compito della polizia». E nemmeno è andata in soccorso, la stessa scuola, della richiesta della famiglia, che chiedeva di separare il proprio figlio dall'aggressore e di sorvegliare sulla sua incolumità.
Stando alle dichiarazioni del dirigente scolastico raccolte sempre dallo stesso giornale, «compito della scuola è reintegrare i bambini nella classe e rendere possibile l'istruzione per tutti loro». Aggiungendo che «gli assistenti sociali e gli insegnanti stanno intensificando gli sforzi». Ma la dirigenza scolastica si è spinta più in là nel resoconto delle informazioni di cui sarebbe entrata in possesso, arrivando alla conclusione che in fondo «il bullismo qui non esiste».
La convocazione dell'assistente sociale - E Leon? Il ragazzino dopo quell'episodio non ha voluto più andare scuola e per diversi giorni; aveva smesso di parlare e anche di mangiare. E quando ha fatto ritorno fra i banchi di scuola, i comportamenti molesti nei suoi confronti sono ripresi.
Questo nonostante l'assistente sociale avesse convocato entrambi i ragazzini e parlato con loro. La mamma afferma che «la scuola si nasconde dietro troppi tecnicismi» non facendo quello che dovrebbe fare, a suo avviso.
«Un tema troppo delicato per molti» - Sposa un po' la sua tesi Bettina Dénervaud, a capo dell'unità specializzata "Aiuto al bullismo". La sua esperienza le fa dire che «il tema del bullismo è troppo delicato per molti. Non sono sufficientemente preparati», ha affermato. Questo lascia i genitori indifesi, «che spesso non hanno un mediatore neutrale a cui rivolgersi per esprimere le proprie preoccupazioni».
«La violenza è ovunque» - E non nasconde una seria preoccupazione quando dice che «oggi a volte ci sono bambini che vanno a scuola con un coltello e la situazione è diventata decisamente più violenta». Prova a rivolgere la ricerca di ipotetiche ragioni a tanto dilagare di episodi cruenti verso la realtà del tempo di internet: «Guardate il mondo. La violenza è ovunque. I bambini hanno cellulari e computer portatili in tenera età, consumano media che non sono destinati a loro. E vedono commenti online da parte di adulti che si stanno praticamente spaccando la testa a vicenda».
Poi indirizza il suo pensiero conclusivo sul tema ai genitori: «Ho visto padri litigare davanti ai loro figli. E i genitori che fanno commenti denigratori su altre famiglie. Che tipo di immagine stiamo trasmettendo ai nostri figli?».