L'escalation di fatti nei quali sono coinvolti anche ragazzini appena adolescenti è preoccupante: gli esperti provano a spiegare il fenomeno
WOHLEN - Una lite che degenera, qualcuno fra le persone coinvolte che fa spuntare un coltello con cui si avventa sul rivale: alla fine un giovane di 26 anni muore davanti alla porta di casa, in un quartiere periferico di Wohlen. I suoi presunti aggressori hanno 16 e 18 anni (si tratta di due italiani e un macedone) e sono stati arrestati. È l'ennesimo agghiacciante fatto di cronaca.
La legge della strada. Il concetto non è nuovo, ma se diventa una sorta di credo e a farlo proprio sono ragazzi poco più che svernati da quella zona di confine che separa la pre-adolescenza dall'adolescenza vera e propria, allora la faccenda è seria.
«Ci si deve difendere»: l'alibi del coltello - Anche perché la stessa famosa legge che evoca la durezza del mondo e della vita di quartiere, in alcuni più di altri, consegna ai deboli di senso civico e venuti su con una "cultura" della legalità della sopraffazione, il conveniente alibi che ci si deve difendere. E per farlo, a detta di chi si costruisce in testa ogni volta un proprio "Bronx", ci vuole un'arma, spesso un coltello.
Uno su cinque va in giro con un'arma da taglio - Se si va a leggere uno studio dell'Università di Scienze applicate di Zurigo di cui alcuni passaggi sono stati rispolverati in un articolo apparso sul Tages-Anzeiger, «si scopre che circa un quinto dei giovani maschi tra i 12 e i 18 anni porta con sé un coltello e la tendenza è in aumento». Capito? Dalle scazzottate della gioventù di una volta alle pugnalate. Questo perché, spesso, la detenzione - che dovrebbe fungere secondo certi ragionamenti da deterrente - si trasforma in fatto compiuto criminoso: cioè finisce a fendenti, come quelli che hanno investito - procurandogli la morte - il giovane 26enne argoviese per mano di due minorenni e di un diciottenne.
Il criminologo: «Piccola porzione di giovani socialmente scollegati» - Ma perché un ragazzino di 16 anni, invece di studiare il pianoforte, dedicarsi al basket o al canottaggio, va in giro armato e a tirare coltellate? Il criminologo Dirk Baier - sentito dal Tages - parla di una «piccola porzione di giovani socialmente scollegati» e con niente in mano fra le mani della loro vita che darsi alla prevaricazione per testimoniare la loro presenza nel mondo. Un mondo sempre più risucchiato dentro una spirale di violenza, dove un posto al coltello dentro il proprio giubbotto o nella tasca dei pantaloni si trova sempre.
La cultura del coltello - Perché proprio il coltello? «Perché è il mezzo più semplice ed efficace - ha spiegato al quotidiano zurighese Baier - non serve l'autodisciplina, non servono settimane di allenamento sportivo. Basta tirare fuori il coltello per essere superiori e l'altra persona viene immediatamente intimidita» afferma il criminologo che dirige l'Istituto per la prevenzione della delinquenza e del crimine presso l'ateneo.
Segnali inquietanti sulla diffusione della cultura del coltello - alimentata da disagio, contesti famigliari e assenza di buoni maestri di vita - arrivano anche se si ascolta quanto dicono gli operatori sociali come Marco Bezjak, che lavora alla Fondazione Mojuga di Zurigo. «I giovani ci dicono che hanno con sé un coltello per autodifesa, perché comunque tutti ne hanno uno». Chiaro? Si possiede un'arma da taglio alla stregua di uno smartphone.
Quali soluzioni? - Trovare il modo di invertire la rotta appare non proprio una cosa semplice. Se è vero - come si sente spesso ripetere - che la strada maestra passa dal reinserimento sociale, alcuni dirottano l'attenzione sul sistema di pena, considerato troppo "debole", anche in riferimento ai fatti di Wohlen. «I minorenni non rischiano l'espulsione dal Paese» ha ricordato un avvocato, e possono andare incontro a «una pena detentiva massima di quattro anni. Tuttavia, possono essere condannati al trattamento in una struttura chiusa e questo può valere fino al compimento dei 25 anni».
E per i 18 anni? «Almeno cinque anni in caso di omicidio volontario. Almeno dieci anni per l'omicidio ed eventualmente l'espulsione dal Paese».
Ma la paura di finire in carcere sembra non essere una variabile così inficiante verso una strada di redenzione: lo testimoniano gli aumenti di casi di aggressioni e di dispute fra giovani risolte con il solito coltello in mano.