In Ticino i rustici fuori dalle zone edificabili sarebbero duemila.
BERNA - I rustici della Svizzera italiana, i mazot vallesani e i maiensässe grigionesi se costruiti illecitamente potranno essere condonati dopo 30 anni dalla loro realizzazione. Lo chiede una mozione, già approvata dal Consiglio nazionale nel marzo scorso, accolta anche dalla commissione della pianificazione del territorio del Consiglio degli Stati.
Stando a un comunicato odierno dei Servizi del parlamento, con questa mozione «verrebbe equiparato il termine di prescrizione applicato per edifici non conformi situati all'interno delle zone edificabili con quelli costruiti nelle zone non edificabili».
La maggioranza della commissione ha condiviso un simile cambiamento alla luce anche della giurisprudenza recente del Tribunale federale (TF) che ha creato incertezze in questo ambito. Inoltre, molti Cantoni conoscono già un termine di prescrizione per edifici fuori dalle zone edificabili.
In Svizzera sono circa 600 mila gli edifici situati fuori zona edificabile. In Ticino, aveva indicato il relatore commissionale Mike Egger (UDC/SG) durante il dibattito alla camera del popolo nella primavera 2022, i rustici sarebbero 2000, secondo il direttore del Dipartimento del territorio Claudio Zali.
Per il sangallese, l'applicazione della decisione del TF comporterebbe oneri amministrativi sproporzionati e ingestibili per le autorità cantonali e comunali competenti. Non si tratta di proteggere le persone che agiscono illegalmente, aveva però sottolineato Egger. Tuttavia, se un Comune in 30 anni non è stato in grado di contestare un edificio costruito fuori zona edificabile, allora si dovrebbe applicare la prescrizione. Questo periodo è infatti più che sufficiente per scoprire tali costruzioni e farle demolire.
Stando ad altri membri del Nazionale intervenuti durante la discussione in aula, «prevedendo che l'obbligo di ripristinare la situazione conforme alla legge si estingua dopo 30 anni, come previsto per gli edifici costruiti all'interno delle zone edificabili, non si fa altro che garantire la parità di trattamento».