C'è chi si dice sorpreso, ma ritiene che siano arrivate al momento giusto. C'è invece chi pensa che il timing sia poco opportuno.
BERNA - Le dimissioni di Livia Leu dalla Segreteria di Stato hanno provocato diverse reazioni politiche. Talvolta anche parecchio contrastanti. Per il presidente della Commissione della politica estera del Consiglio nazionale (CPE-N) Franz Grüter (UDC/LU) Livia Leu ha scelto «il momento giusto per dimettersi dalla carica», sebbene la decisione sia «sorprendente». Grüter, raggiunto da Keystone-ATS, afferma di aver apprezzato l'approccio realista utilizzato dalla capo negoziatrice nelle relazioni con l'Unione europea. Si è subito accorta che un accordo quadro non avrebbe avuto successo alle urne in caso di referendum, evidenzia il deputato lucernese. Una nuova tappa difficile di questo dossier può ora iniziare con l'avvio di veri e propri negoziati, prosegue Grüter. Le discussioni «di certo non avanzeranno rapidamente», aggiunge il democentrista, stando al quale «è impossibile dire» chi rimpiazzerà Leu.
Dal canto suo, la consigliera nazionale Elisabeth Schneider-Schneiter (Centro/BL), pure membro della CPE-N, spera che sarà ancora Leu a concludere i colloqui esplorativi con Bruxelles. In questo modo, scrive su Twitter, il Consiglio federale potrà adottare il mandato negoziale per un accorso istituzionale con l'Ue prima della sua partenza per Berlino. La segretaria di Stato assumerà infatti la conduzione dell'ambasciata svizzera nella capitale tedesca.
Per il presidente della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (CPE-S) Pirmin Bischof (Centro/SO) è una partenza «sorprendente» che arriva in un momento «politicamente delicato». Secondo il consigliere agli Stati la scelta di Leu è «comprensibile» anche perché la capo negoziatrice ha 62 anni e ha trascorso tre anni con un incarico molto esigente. «Posso immaginare che per lei sia il momento giusto per cambiare», ha aggiunto il senatore, definendo molto attrattivo il posto di ambasciatrice a Berlino che andrà a ricoprire.
Il PLR si limita invece «a prendere atto» della decisione della (ormai ex) negoziatrice nelle relazioni con l'Unione europea. «Si tratta di una scelta puramente personale. Riteniamo che il cambio al vertice dei negoziati non influirà sulla politica europea del Consiglio federale», ha precisato il portavoce del PLR svizzero Marco Wölfli.
Il PS, per bocca del proprio capogruppo parlamentare Roger Nordmann, sottolinea come le dimissioni arrivino «in un brutto momento», criticando aspramente il Dipartimento federale degli affari esteri. L'offensiva comunicativa del DFAE delle ultime settimane, secondo cui sarebbero stati compiuti progressi nei colloqui con l'Unione europea, «è svanita nel nulla». Per il consigliere nazionale del canton Vaud le dimissioni di Leu rappresentano una grave battuta d'arresto per il DFAE. «Ogni volta che si è vicini a un possibile risultato con l'Ue, il capo negoziatore cambia», ha criticato Nordmann. «In questo modo non si otterrà mai un risultato significativo».
Per il presidente dei Verdi Balthasar Glättli le dimissioni di Leu sono «un brutto segnale» e la responsabilità di questa scelta ricade sull'intero Consiglio federale. Glättli ha espresso «sorpresa» per le dimissioni quando è stato interpellato dall'agenzia di stampa Keystone-ATS. Il consigliere federale Ignazio Cassis aveva ancora sottolineato ieri sera, in occasione della Giornata dell'Europa, che le relazioni personali sono la chiave per il successo dei negoziati con l'Ue. «Il nuovo negoziatore svizzero dovrà quindi ricostruire la fiducia».
Da parte loro i Verdi liberali si rammaricano delle novità odierne nell'ambito del dossier Ue: la partenza dell'incaricata dei colloqui con l'Unione europea Livia Leu giunge in un momento inopportuno e rappresenta un ulteriore ostacolo nelle trattative, ha ammesso a Keystone-ATS Julie Cantalou, co-segretaria generale del partito. Il tempo stringe. «Il Consiglio federale deve alla fine assumersi le proprie responsabilità e fornire risultati», ha affermato Cantalou. «Più tempo passa, più la Svizzera rimane indietro».