Consegnate 14mila firme in Cancelleria federale da parte di diverse ong, in vista dei negoziati sull'accordo di libero scambio
BERNA - L'accordo di libero scambio con la Cina non deve essere ottimizzato senza un rafforzamento dei diritti umani. Lo rivendica una petizione di diverse ONG, con più di 14'000 firme consegnate oggi alla Cancelleria federale.
I negoziati fra Berna e Pechino per uno sviluppo dell'accordo di libero scambio inizieranno lunedì. Il Consiglio federale ha rinunciato a una valutazione d'impatto dell'accordo in questione sui diritti umani. Ha rifiutato anche l'adozione di norme vincolanti relative ai diritti umani nel mandato di negoziazione, critica la Società per i Popoli Minacciati (SPM) in una nota.
«I diritti umani devono essere sostanzialmente sanciti nell'accordo: questa è la linea rossa chiesta al Consiglio federale e al Parlamento per i prossimi negoziati con Pechino», scrive l'ONG aggiungendo che la situazione dei diritti umani in Cina non fa che peggiorare.
«Quasi un milione di uiguri sono stati rinchiusi in campi di rieducazione dove vengono indottrinati e, in molti casi, torturati e violentati. I lavori e le sterilizzazioni forzate sono all'ordine del giorno. Fino a un milione di bambini tibetani sono stati mandati contro la loro volontà in collegio. Comunità tibetane nomadi e interi villaggi tibetani vengono trasferiti con la forza a centinaia di chilometri di distanza», elenca l'organizzazione.
Linea rossa simbolica - La Svizzera deve quindi prendersi delle responsabilità. I suoi partner commerciali in Europa nonché gli Stati Uniti hanno sanzionato il governo cinese, traendo le conseguenze delle sue violazioni dei diritti umani.
Prima di depositare la petizione, le organizzazioni partecipanti hanno teso, con l'aiuto dei parlamentari, una linea rossa simbolica attraverso la Piazza federale. La Cancelleria federale ha inoltre ricevuto una corda rossa lunga 140,63 metri, dove ciascun centimetro rappresenta una delle 14'063 firme. «Se queste voci non dovessero venire ascoltate, la SPM valuterà seriamente la possibilità di un referendum», conclude l'ONG.