PIAZZA GRANDE
Weekend di eroi e di terrore
Weekend di eroi e di terrore
Sabato abbiamo visto un grandioso Matt Damon (a fianco) ritornare nei panni di Jason Bourne nel terzo film di quella che si annuncia la saga più cinematograficamente alettante tra quelle proposte dal grande schermo.In T...
Sabato abbiamo visto un grandioso Matt Damon (a fianco) ritornare nei panni di Jason Bourne nel terzo film di quella che si annuncia la saga più cinematograficamente alettante tra quelle proposte dal grande schermo.
In The Bourne Ultimatum, che fa seguito a The Bourne Identity
(2002) e The Bourne Supremacy
(2004), questo eroe controvoglia, inventato da Robert Ludlum è guidato ancora da Paul Greengrass (la prima volta era nelle mani di Doug Liman) e si vede come il regista sia cresciuto nel suo modo di raccontare dopo la spinta avuta con la nomination Oscar del suo United 93. C’è nel film infatti una tensione tutta nuova, il tentativo di togliere il fiato allo spettatore senza mai far calare la tensione anche nei momenti meno propizi all’azione, lo stesso riesce a comunicare idee in secondo piano con la stessa forza dell’attrazione esercitata da scoppi continui di tensione.
Per questo motivo il film riesce oltre a costringere lo spettatore a non respirare, anche a renderlo convinto che il più grande terrorista del mondo sia il governo degli Stati Uniti. Quel Governo i cui servizi, nel film, dopo aver regalato un’identità falsa a un uomo e averlo indottrinato per renderlo un assassino cercano di eliminarlo perché non possono più fermare la sua voglia di riscoprire la propria identità. Greengrass racconta come questo strano eroe senza ricordi viva nel ricordo della donna che ha amato (splendido cameo di Franka Potente, non accreditata), e questo senza perdersi in inutili romanticismi.
Damon-Bourne viaggia nel mondo, lo vediamo fuggire dalla Russia, nascondersi a Parigi, inseguito nelle stazioni dei treni di Londra, in cerca di un uomo a Madrid dove ritrova la collega Nicky Parson (Julia Stiles), da sempre innamorata di lui. E con lei a Tangeri per uno degli inseguimenti più travolgenti tra quelli visti nel cinema ultimamente, e da qui a New York per quello che si annuncia come lo scontro finale, se non fosse per il sorriso di Nicky e per il corpo di Bourne, che ora sa chi è, che prima galleggia sull’Hudson e poi riprende a nuotare felice.
Ci sarà una prossima volta? Noi, stanchi di imbolsiti 007, di recuperati Indiana Jones, di smelensi Harry Potter, speriamo di sì.
Domenica il Festival di Locarno ha vissuto invece una notte che sarà ricordata per lungo tempo grazie a due film che hanno fatto esplodere l’entusiasmo del pubblico, travolto prima dalla irresistibile comicità del macabro Death at a Funeral (foto
a destra) di Frank Oz e poi dalla mortale ilarità di Planet Terror di Robert Rodriguez, attesissima seconda parte di quel Grindhouse, progetto di un doppio programma voluto da Quentin Tarantino, naufragato in Usa e portato nel mondo diviso in due parti, quella di Tarantino vista a Cannes.
« Dopo il fiasco economico di The Stepford Wives con un cast stellare, tra cui Kidman e Glen Close, ho sentito di non essere stato leale com me stesso e di aver tradito i produttori, allora sono tornato dal mio vecchio maestro di recitazione e ho voluto fare questo film senza grandi vedette, ma con attori veri ». Così si introduce Frank Oz e la vivacità travolgente del suo Death at a Funeral spiega bene cosa significhi per un regista piegarsi al divismo o lavorare seriamente.
Il film infatti è una miniera di originale comicità e un esempio di grandiosa recitazione. Tutto si svolge in una casa dove si celebra il funerale del padre di famiglia. Succede che a uno degli invitati per sbaglio sia stato dato un acido che sconvolge la sua mente e che alla cerimonia partecipi un nano venuto a reclamare i sui diritti essendo stato l’amante del morto.
Intorno a questo breve plot scoppia una comicità che dai tempi del cinema muto era difficile incontrare.
Il pubblico si spancia dal ridere e la commedia è stupenda. Con Planet Terror Robert Rodriguez fa il verso al cinema horror degli anni ’70 con gran spargimento di sangue, morti viventi affamati di cervelli e arti vari, e un gruppetto eroico di umani resistenti che all’ultimo riescono a salvarsi. Naturalmente c’è anche una storia d’amore tra il pistolero del gruppo e la bella di turno, che essendo Rose McGowan, attrice cult del genere, non poteva che riservare la sorpresa di restare senza una gamba (nella finzione) e sostituirla con una mitragliatrice.
« È come andare a ballare con i tacchi a spillo troppo alti » , ha confessato. Finale inaspettato con lei, una lei stavolta, che tiene il suo uomo morente tra le braccia, prima di mettersi alla guida del gruppo e dare l’appuntamento a un nuovo film con la sua bambina tra le braccia. Film dell’eccesso, questo Planet Terror ha il merito di non prendersi mai sul serio, di esagerare anche nell’ironia, senza con questo rinunciare a porre il problema delle paure della gente di tradimenti interni, di esperimenti mortali guidati
non dal nemico ma da chi governa. Naturalmente queste paure restano all’ombra degli zombie. U.B.
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