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Che cosa fare (e cosa no) se vuoi trovare lavoro

Disoccupazione stabile, richieste di assistenza in aumento. Ma come fare per trovare un posto di lavoro? I consigli di Morena Ferrari Gamba della Ledermann di Lugano, 20 anni di esperienza nel settore
Che cosa fare (e cosa no) se vuoi trovare lavoro
Disoccupazione stabile, richieste di assistenza in aumento. Ma come fare per trovare un posto di lavoro? I consigli di Morena Ferrari Gamba della Ledermann di Lugano, 20 anni di esperienza nel settore
LUGANO - Disoccupazione stabile in Ticino: lo giurano le statistiche, che parlano di un tasso del 4,4% a fronte di un 3,7% in Svizzera, in calo dello 0,1%. «Personalmente, mi preoccupano di più le 3.883 persone che hanno esaurito il loro...

LUGANO - Disoccupazione stabile in Ticino: lo giurano le statistiche, che parlano di un tasso del 4,4% a fronte di un 3,7% in Svizzera, in calo dello 0,1%. «Personalmente, mi preoccupano di più le 3.883 persone che hanno esaurito il loro diritto alle prestazioni contro la disoccupazione», riflette Morena Ferrari Gamba, consulente personale alla Ledermann di Lugano: che con vent'anni di esperienza alle spalle ha molto da dire sul tema. E parecchi consigli da dare.

Ferrari Gamba, anzitutto: dove sbagliamo?
«A sbagliare non sono le persone, ma la società. Troppe aziende non assumo apprendisti, perché la loro formazione costa tempo e denaro. Troppe aziende lasciano a casa una persona per l’età. La politica può indicare una via, per esempio chiedere una maggiore sensibilità e responsabilità sociale da parte delle imprese». 

Ma qualche errore lo faremo pure. Nel curriculum che cosa c'è che non va?
«Il curriculum dev'essere breve e chiaro. Un curriculum troppo lungo ed elaborato dà un'impressione di insicurezza. Ho visto cv di dirigenti di altissimo livello che non superavano neanche una pagina. L'importante, poi, è adattarlo al posto per cui ci si candida, in modo che si possano intravedere subito le affinità».

La sintesi resta ancora un must?
«Senza dubbio. Io per prima stento a leggere cv lunghi. Oggigiorno, ricevendo molte candidature, non si ha più abbastanza tempo».

Graficamente? Si insiste spesso sul formato europeo. 
«Personalmente non lo sopporto. È complicato, di difficile lettura, anonimo».

Una volta superata questa fase, resta il colloquio.
«Bisogna prepararsi bene».

In che modo?
«Capire bene a che posto ci si candida. Informarsi sull'azienda, per poter dimostrare di conoscerla a fondo: piace sempre. A volte da me arrivano persone che neppure sanno di che cosa si parla. E questo da subito una cattiva impressione. Poi spiegano: "Sono disperato, devo lavorare". Ma proprio per questo! Più sei convinto, più l'altro ti ascolta».

Anche qui: errori da non fare? 
«Parliamo prima di quello che si deve fare. Al colloquio è necessaria trasparenza, sincerità, chiarezza di esposizione».

Neanche una reticenza?
«State attenti. Faccio un esempio. Se voglio fare il venditore e non ho tanti amici, posso anche non dichiararlo. Ma forse, se non ho grandi relazioni sociali, vuol dire che non è il mio posto. O il contabile disordinato. Il quale poi magari dice che nel suo disordine si ritrova. Posso accettarlo per una professione creativa: da un contabile mi aspetto altro. Bisogna essere onesti anzitutto con se stessi: solo così ci si venderà bene, si sarà credibili».

Come presentarsi? Consigli sull'abbigliamento?
«È vero che l’abito non fa il monaco: ma spesso aiuta. È importante arrivare sempre puntali e in ordine, per qualsiasi mansione. Evidentemente bisogna adattarsi agli ambienti. Inutile presentarsi in giacca e cravatta in una fabbrica, così come arrivare in jeans e maglietta in un fiduciaria o laddove il contatto con la clientela è molto importante».

Come ci si pone fisicamente davanti all'interlocutore?
«Bisogna tenere una buona postura, riservare attenzione al proprio selezionatore. Rispondere in modo pertinente e sincero alle domande, mostrare interesse al posto per cui si sta postulando e, se fosse solo un colloquio conoscitivo, a quello che vorreste fare».

Meglio mostrarsi disposti a tutto o mettere subito dei paletti?
«Disponibilità e flessibilità sono le parole chiave. Poi, certo, c'è il datore di lavoro che se ne approfitta. C'è una cattiva usanza che purtroppo sta prendendo piede anche qui: lo stage che viene proposto ai giovani e dura più di quanto dovuto, anche più di un anno. Io però consiglio di accettarlo lo stesso. E invito sempre i ragazzi a darsi da fare. Io però consiglio di accettarlo lo stesso. E invito sempre i ragazzi a darsi da fare».

Essere intraprendenti paga o fa paura?
«Paga sempre. Poi dipende dai contesti e dai modi. In un'azienda grande sgomitare troppo potrebbe suscitare gelosie. Ma se sei bravo, se ti fai notare, andrai avanti. Ovvio, bisogna incontrare sulla propria strada delle persone intelligenti. E non sottovalutiamo il divertimento, la passione. La passione si riconosce».

Per un giovane senza esperienza però è difficile già ottenere un colloquio.
«È vero. Da soli può essere seriamente difficile. I giovani farebbero meglio ad attivarsi tramite dei network. Gli amici, le conoscenze. Se c'è una referenza, si è veicolati meglio. Bisogna farsi aiutare: perché non è un'illazione, ormai si è sempre meno attenti ai giovani. Purtroppo mi risulta in molti posti che alla fine del tirocinio le aziende lasciano a casa gli apprendisti. Mi si dirà per dare posto ad un altro apprendista. Ma non credo che sia sempre così».

Dunque è così: i giovani sono più penalizzati?
«Attualmente i giovani hanno serie difficoltà anche perché  molti, forse troppi, escono dalle università con aspettative che il mercato non può più dare. Ricordiamo però che grossi problemi li hanno anche gli over 50: non perché non abbiano esperienza, ma perché costano troppo alle aziende in termini di oneri sociali. Inoltre, molti fanno fatica a riqualificarsi. E chi non è specializzato fa più fatica. Ai ragazzi io suggerirei anche di andare per il mondo e fare nuove esperienze: aprono molte porte». 

Su quali ambiti puntare?
«Mancano i medici, infermieri, apprendisti e impiegati di commercio con competenze linguistiche, mancano contabili e fiscalisti svizzeri».

Lingue: quali?
«Inglese. Spesso riceviamo critiche dalle multinazionali, costrette ad assumere personale che viene dall'estero perché l'impiegato svizzero non conosce l'inglese. Masticarlo non basta».

Sta dicendo che l'inglese vale più del tedesco?
«A livello internazionale oggi viene prima, non c'è dubbio». 

Che cosa è più efficace:  proporsi tramite un'inserzione, inviare direttamente un cv, affidarsi a un'agenzia di collocamento?
«Quando si fa una ricerca di lavoro è importante attivare tutti i canali di ricerca. Affidarsi a un agenzia o società di consulenza può aiutare molto. Importante, a mio modo di vedere, è poi scegliere interlocutori validi e riconosciuti sul mercato locale». 

L'online come canale di ricerca sta prendendo sempre più piede, specie all'estero. Dove promette di trovare lavoro in tempi più rapidi. È così?
«Dipende. Se è l'azienda a pubblicare le proprie posizioni vacanti, direi di sì. Attenzione però. In questo modo l'azienda riceve tonnellate di cv: che arrivano potenzialmente dal mondo intero. Quando si deve scremare così tanto, può darsi che qualcosa sfugga».

I metodi tradizionali restano ancora i migliori?
«Sì. Così come rivolgersi direttamente alla persona di riferimento. Perché ciò che conta è soprattutto distinguersi dalla massa».

Dunque è così che sta cambiando la ricerca di candidati: le aziende preferiscono fare da sé?
«Tendono a fare da sé. Pubblicano sempre più le proprie posizioni online. Anche sfruttando le piattaforme esistenti, non solo il proprio sito personale. LinkedIn, Facebook. O piattaforme specialistiche. Rivolgendosi a società di consulenza, risparmierebbero parecchio tempo e denaro, individuando velocemente il candidato ideale».

Che futuro possono avere i social network?
«Io paragono i social network a una gigantesca piazza. Possono essere molto pericolosi. Se un datore di lavoro sta per assumerti, ma su Facebook trova fatti tuoi che non gli piacciono, rischi di perdere il posto».

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