L'ex granconsigliere ha raccontato la sua esperienza durante gli scoppi: «L'appartamento è completamente distrutto»
«Sentivo vetri in frantumi, gente che urlava, allarmi di macchine», l'onda d'urto «ti investe e ti toglie il respiro».
BEIRUT - «La fortuna ha voluto che mi trovassi nel momento giusto nel posto giusto. 10 metri prima, o dopo, c‘erano dei negozi, le cui vetrine sono saltate in aria finendo in mille pezzi, con schegge che viaggiavano come proiettili».
È la testimonianza dell’ex granconsigliere Christian Castelli, cresciuto in Ticino, che si trova a Beirut dal 2008 per lavoro.
Ciao Christian, stai bene? Come hai vissuto i momenti della terribile esplosione?
«Sto bene. Diciamo che mi sento come colui che arriva in ritardo al check-in all'aeroporto e perde l'aereo, per poi scoprire che il velivolo precipita».
«Dal 5 agosto erano in previsione cinque giorni di lockdown. Il 4 agosto - il giorno dell'esplosione - ho deciso di andare a fare gli ultimi acquisti. Sono sceso dal mio appartamento, e dopo aver fatto una ventina di metri ho sentito la prima esplosione. Mi trovavo a Place Sassine, a circa 1,5km dal porto. D'istinto ha preso il sopravvento il mio istinto di sopravvivenza: mi sono abbassato e ho preso rifugio dietro un veicolo. Inizialmente pensavo fosse una bomba, temevo ce ne fossero altre, che fosse un attacco terroristico», ci racconta Castelli.
Poco dopo, il secondo botto: «Un grosso boato. In quel momento non capivo, è difficile da ricordare, sentivo nello stesso tempo migliaia di vetri in frantumi, gente che urlava, allarmi di macchine che scattavano, oltre allo scoppio e all'arrivo dell'onda d'urto, che ti investe e ti toglie il respiro».
E l'appartamento, la tua famiglia?
«Fortunatamente la mia famiglia era partita per le vacanze e si trovava all'estero. L'appartamento invece è completamento sventrato, distrutto, tanto che l'onda d'urto ha divelto le porte e fatto esplodere i vetri delle finestre. Perciò mi sono dovuto spostare temporaneamente in albergo. Il solo pensiero che la mia famiglia avesse potuto essere in casa mi fa accapponare la pelle. Le immagini che circolano sui social media sono drammatiche. Basti pensare che l'ultima stima parla di circa 7'000 persone ferite...»
E ora, passato qualche giorno, com’è la situazione? Come vengono distribuiti i beni di prima necessità?
«Da allora si sente continuamente gente che pulisce, che ramazza i vetri, il passare frequente di ambulanze a sirene spiegate, rumori costanti di martelli che spezzano legni, o parti di metallo: è un continuo ricordo di quello che è successo».
Per quanto concerne la notte, «il sonno è agitato, si fa fatica ad addormentarsi, al minimo rumore ti svegli. Si rimane toccati da un simile evento».
«La gente del posto sta cercando di rimettersi in piedi. La società civile si è mobilizzata subito: si trovano in diversi punti della città delle postazioni dove vengono forniti supporto psicologico, acqua, cibo. Da questo punto di vista credo ci sia stata una grande risposta solidale della gente». Di tutti quanti, «Ci si aiuta come si può».
Questa tragedia ha trasmesso emozioni fortissime anche solo a chi ha visto i video. Per la gente del posto è stato un dramma. Oggi sui loro volti vedi più speranza o rabbia?
«Entrambe le cose, da una parte c’è una grande solidarietà. D’altro canto si nota anche un certo nervosismo, anche nelle piccole cose, ad esempio alterchi dovuti a due che si incrociano con la macchina. Credo che sia impossibile che una devastazione del genere non cambi le persone. C'è chi ha perso tutto ciò con cui lavorava: il proprio negozio, la propria sussistenza. Ed è durissima ricominciare quando ti va tutto in frantumi. C'è tanta incertezza».
E poi, «è cambiata la comunicazione tra le persone. Ora quando incontri qualcuno che conosci ti chiede «Ah sei vivo?», «Dov'eri? cosa facevi?», e per salutarti non usa più il classico ciao, ma un grande in bocca al lupo «Good luck», «stammi bene». «Cambia un po’ la prospettiva della vita. Molta, moltissima gente ha avuto amici o parenti che non ce l'hanno fatta o che sono gravemente feriti».
E per quanto riguarda il futuro?
«Fra i tanti discorsi ne vedo alcuni emergere con più forza. Uno, che non riguarda solo il Libano, ma che le deflagrazioni hanno reso piu' difficile da gestire, riguarda il Covid-19. C’erano infatti in previsione 5 giorni di lockdown per ridurre i contagi, ma a seguito dell'esplosione sono saltati gli schemi». Nei primi momenti dopo le deflagrazioni, «entrando in ospedale c’era il caos, era inevitabile entrare in contatto con altre persone, senza seguire i classici protocolli».
«Il rischio in prospettiva è che ci sarà un aumento importante dei casi, ed è un problema per gli ospedali che non sono pronti ad affrontare una simile crisi, essendo in molti casi anch'essi danneggiati».
Inoltre, chiaramente, la «città è mezza distrutta. Non è evidente la ricostruzione, in primis poiché la capacità di installare porte e finestre è quella che è, i tempi saranno lunghi e prevedo che ci sarà bisogno di aiuto esterno».
Infine, «una grossa sfida per il paese è ripensare alla logistica degli approvvigionamenti. Il porto di Beirut gestiva circa il 60% del traffico in entrata dei container, inclusi quelli delle derrate alimentari. Sarà una corsa contro il tempo attrezzare gli altri porti del paese per far fronte all'aumento dei volumi dei container in arrivo» ha concluso Castelli.