È sul tavolo del Parlamento l'obbligo di indicare il luogo di produzione di pagnotte e infornati vari
Massimo Turuani, presidente dei panettieri: «Il pane importato toglie lavoro a più di duemila persone in Svizzera. Ma il problema è culturale, a molti interessa solo che costi di meno». L'ex Giancarlo Seitz critico: «I panettieri non hanno saputo prevedere e si è svenduta la storia del pane»
BERNA/LUGANO - Dire pane al pane, come espressione di franchezza. Ma da tempo questo prodotto non è più sincero e non rivela la propria origine. Una lacuna su cui il Consiglio degli Stati si esprimerà nella sessione in corso. Il passaggio in commissione lascia intendere che verrà sfornato l'obbligo di indicare sul pane il luogo di produzione. Aiutando così il consumatore a distinguere i prodotti svizzeri da quelli importati.
«Pane caldo, non è pane fresco» - «Il campanile verrebbe così rimesso al centro del villaggio - sostiene Massimo Turuani, presidente da vent’anni della Società Mastri Panettieri Pasticcieri Confettieri (SMPPC) del Canton Ticino. «Ma questo - continua - non migliora assolutamente i nostri conti. Il problema di fondo resta l’ignoranza dei molti cui non interessa tanto la provenienza, ma che il pane non costi e che sia reperibile in ogni momento e in ogni luogo. Invece che varcare la soglia di un panettiere artigianale. Ricordo a tutti che pane caldo non significa pane fresco». Il problema, continua Turuani, è soprattutto culturale: «In molti criticano la merce prodotta in Cina, ma poi sono tutti su Internet a fare acquisti. L’essere umano è fatto per chiacchierare, ma non per dar seguito coi fatti alle parole».
Dimezzati in vent’anni - L’impressione è che non basterà un’etichetta per risollevare un settore che negli anni si è sbriciolato: «C’è stata una grandissima diminuzione di professionisti - conferma il presidente dei panettieri ticinesi -. Quando ho iniziato, nel 2000, avevo 122 soci, a stamattina ne ho 54. Una ripresa? Non la vedo all'orizzonte. Andranno trovati dei rapporti migliori con i nostri partner storici della ristorazione con cui si è perso il feeling. Troppi ristoranti si orientano sul pane congelato».
Pane e benzina - Il presidente dei panettieri mette il dito nella piaga: «La quota di importato viaggia sotto forma di pane imballato, preconfezionato, precotto per usare questo squallidissimo termine. Le stazioni di benzina la fanno da padrone, ma anche la grande distribuzione propone una parte di questi prodotti sui loro scaffali». Una parte, dal momento che, assieme alle panetterie artigianali, c'è anche la grande distribuzione ad avere le mani in pasta: «Non c’è solo Manor a fare pane, produce tantissimo la Jowa di Sant’Antonino come Migros e tantissimo anche il nuovo Laboratorio della Coop ad Arbedo».
«Rispettate la storia del pane» - Che l’etichetta sia un cerotto che non sana la ferita è opinione anche di Giancarlo Seitz, storico panettiere in pensione che a Lugano aveva quattro punti vendita: «Il pane ha una storia che va rispettata, non è la Coca Cola. Il nostro Paese è sempre stato all’avanguardia anche nei formare i professionisti, basti ricordare il Centro di competenza Richemont di Lucerna che è un po’ la Sorbona del pane e della pasticceria».
La ricetta del panettiere - Ma Seitz non è morbido neppure con i suoi ex colleghi: «Le associazioni dei panettieri, in Svizzera come in Ticino, non hanno saputo prevedere e anticipare i cambiamenti». È mancata, secondo lui, una lobby politica del pane: «Occorreva proibire l’importazione del pane dall’estero. Ricordo solo che alla Coop dopo la seconda guerra mondiale era stato dato il monopolio delle farine. Anche i mulini non macinano più. Si è svenduta la storia del pane». Che è fatta soprattutto di contatti umani: «Una storia indimenticabile - ricorda - come quando con la bici militare da ragazzo andavo col gerlo ogni giorno a portare il pane in casa alle persone».
«Il pane importato? 430 milioni tolti di bocca ai nostri panettieri»
Dalle parole alle cifre il quantitativo di pane importato dall’estero in Svizzera equivaleva nel 2018 all’operatività di 2.200 persone. E in franchi a 420-430 milioni all’anno. Inoltre il consumo pro capite di pane in Svizzera supera oggi di poco i 100 grammi. «Quando ero ragazzo - nota Turuani - i 300 grammi procapite andavano via… come il pane». Quanto a un’etichetta che indichi anche la provenienza delle farine, il panettieri osserva: «Da noi la stragrande maggioranza della panificazione viene fatta con farine svizzere. Perché è una materia prima che non hai la possibilità di importare. Ma anche se fosse d’importazione, l’importante resta la panificazione che darebbe lavoro qui in Svizzera».