Il dottor Franco Cavalli a L'Avana è stato informato sui progressi del vaccino cubano. Ma porta a casa un insegnamento
«Il mio suggerimento al Consiglio di Stato è di prendere misure più severe, anche se potrebbero dare fastidio a Berna. I ticinesi saranno dalla sua parte».
ASCONA - Una popolazione di 11,3 milioni di abitanti. Poco meno di 7’600 casi di coronavirus in totale e 131 decessi. Sono numeri (positivamente) impressionanti quelli relativi alla diffusione della pandemia a Cuba. Una situazione che è conseguenza di un attacco frontale al virus lanciato dal governo sin dal mese di marzo. E che il dottor Franco Cavalli è andato a vedere con i suoi occhi, in quanto presidente di mediCuba Europa e vicepresidente di mediCuba Svizzera, associazione che ha lo scopo di apportare aiuti puntuali al sistema sanitario cubano, affinché continui a essere “modello per tutti i paesi del sud”.
Il dottor Cavalli ha passato una settimana a Cuba. Quando lo raggiungiamo telefonicamente, domenica pomeriggio, è in aeroporto in attesa di tornare in Ticino. Sul posto ha ricevuto aggiornamenti soprattutto sulla produzione del vaccino, già a una fase importante, che pensano di poter somministrare alla popolazione a marzo 2021.
Dottore, i numeri dicono molto. In Ticino abbiamo 350’000 abitanti e oltre 12mila casi e 431 morti. Come è possibile?
«Sono dati assolutamente attendibili. Il rappresentante a Cuba dell’OMS mi ha assicurato che non c’è il minimo dubbio. Il governo cubano ha introdotto sin da subito misure estreme, senza curarsi delle possibile perdite economiche. L’isola si è chiusa al turismo, c’è stato un confinamento quasi totale per tre mesi. La prevenzione è generalizzata. Non c’è nessuno, letteralmente, senza mascherina, ovunque ti misurano la temperatura e ti disinfettano mani e scarpe. E il sistema sanitario nazionale ha fatto la sua parte».
In che modo?
«Chiunque risulti positivo al tampone viene portato in ospedale e sorvegliato per dieci giorni. Viene sottoposto a una terapia che include anticoagulante, vitamine D e C e steroidi. E viene dimesso dopo due test PCR negativi. I contatti stretti dei contagiati sono in isolamento, anche in casa, e ogni giorno ricevono la visita da parte di un medico, un infermiere o uno studente di Medicina».
Ma quanto è economicamente sostenibile tutto questo?
«A Cuba hanno messo al primo posto la salute della gente, pur trovandosi in una crisi economica gravissima. Lì l’entrata principale è il turismo, che ora è nullo. Trump ha vietato a Western Union la trasmissione di contanti dagli Usa e nonostante l’attacco feroce subito, Cuba sta facendo un enorme sforzo per controllare la pandemia, aiutare altri Paesi (come l’Italia) e produrre il vaccino».
Cosa porta “a casa” da questa visita?
«L’insegnamento principale che vorrei portare in Svizzera è che un paese come Cuba, che è relativamente povero e in crisi economica, non bada a spese pur di salvare la gente. Perché la vita non ha prezzo. Da noi, invece, si ha l’impressione che a contare sia di più l’economia. Basta che l’economia “alzi la voce" per cui una serie di misure - come la mascherina dappertutto o chiudere ristoranti e bar - non venga presa. Eppure noi nei forzieri della Banca Nazionale abbiamo più di mille miliardi di franchi di riserve. Una cifra enorme. E sono soldi dei cittadini che in situazioni come questa potrebbero permettere certe azioni senza che sia la popolazione a rimetterci economicamente. Anche la stampa internazionale sta diventando molto critica nei confronti della Svizzera: quella che “mette i soldi sopra alla salute”, oppure “il Paese con la Croce Rossa, le ditte farmaceutiche, che dà lezioni a tutti”».
Perché, secondo lei, siamo stati travolti così pesantemente dalla seconda ondata?
«Mi pare chiaro che la situazione in Svizzera - e quindi anche in Ticino - sia abbastanza sfuggita di mano. Secondo me il disastro è stato a fine maggio - inizio giugno quando per salvare la stagione turistica il Consiglio federale, di colpo, ha “tolto” ogni limitazione. Sotto pressione da parte dell’economia. Questo ha mandato un messaggio molto negativo alla gente, come a dire “è finito tutto”. Non c’è stata nessuna prevenzione. E questo ha fatto esplodere la seconda ondata. Sarebbe arrivata lo stesso, ma magari non così travolgente».
Se Berna non reagisce, pensa che dovrebbe pensarci il Ticino (di nuovo) autonomamente?
«Io sono convinto che in queste situazioni, se si comincia a fare la “lotta tra le regioni”, non si va da nessuna parte. Il Consiglio federale dovrebbe prendere in mano la situazione. Ma nella seconda ondata non ne ha avuto il coraggio. Ha seguito i grandi poteri economici che non vogliono un altro lockdown. Se la situazione in Ticino peggiora il mio suggerimento al Consiglio di Stato è di prendere misure più severe degli altri, anche se potrebbero dare fastidio a Berna».
Ma come reagirebbero, a quel punto, i ticinesi?
«In primavera la popolazione ticinese, forse come mai negli ultimi anni, si è allineata con il suo Governo. Se il Consiglio di Stato prendesse una posizione più forte, più decisa, e Berna arricciasse il naso, i ticinesi starebbe dalla sua parte, come hanno già dimostrato una volta».