Il numero di ricoveri per Covid in Ticino non scende. Garzoni: «Cifre insostenibili per il nostro sistema»
Per l'infettivologo è il momento di stringere i denti: «Una luce ora c'è». E sulla campagna vaccinale: «Il Ticino è pronto, ma se i vaccini non arrivano...».
LUGANO - Chiusure e restrizioni sembrano aver avuto un impatto solo parziale sull'emergenza coronavirus in Ticino in questa seconda ondata. Guardando le cifre dei ricoveri negli ospedali, da due mesi a questa parte la situazione si è cristallizzata attorno alla soglia delle 350 ospedalizzazioni. Cifre «altamente preoccupanti» - commenta al telefono l'infettivologo Christian Garzoni - per un sistema sanitario «che non è fatto per viaggiare su questi numeri ed è da considerarsi in una situazione d'emergenza cronica».
Nelle ultime settimane anche il numero di letti occupati in terapia intensiva è in aumento e a questi ritmi «la qualità delle cure in questi posti risulta difficile da garantire». Inoltre, ricorda il direttore sanitario della Clinica Moncucco, il Ticino dispone attualmente di due ospedali in meno, che sono interamente dedicati al Covid. Con ovvie ripercussioni su tutto il resto delle cure.
In altre parole, «si naviga in acque molto alte». Anche i dati dei contagi totali degli ultimi giorni, ci spiega Garzoni, vanno presi con le pinze. Perché se da un lato si registra un calo dei contagi fra i giovani, dall'altro risulta un aumento fra la popolazione sopra i 50 anni. «Al netto i nuovi casi sembrano quindi di meno, ma quelli che poi finiscono in ospedale sono di più».
Infine, se la famosa “variante inglese” dovesse diffondersi nella nostra popolazione, questa porterebbe a un rapido aumento dei casi, una «terza curva sulla seconda, che parte da cifre elevate e in questo caso il sistema sanitario difficilmente potrebbe sostenere l’aumento senza nuove massicce chiusure. E comunque a scapito delle cure dei pazienti non Covid».
Nuove misure in arrivo - Nei giorni scorsi il Consiglio federale ha proposto nuove misure, attualmente in consultazione presso i Cantoni. Si parla fra le altre cose di telelavoro obbligatorio e di chiusura per i negozi che non vendono beni di prima necessità. Quanto funzioneranno queste misure? «Difficile dirlo. Di certo aiuteranno a ridurre il virus circolante, però è difficile prevedere con quale velocità agiranno nell'appiattire la curva e a che livello potranno abbassarla. Curva che adesso è la peggiore della Svizzera e una delle più gravi in Europa».
Una stretta, pensando in particolare alla situazione ticinese, è però auspicabile secondo Garzoni. Ed è motivata da tre punti: «I numeri sono tendenzialmente stabili o in lenta crescita, ma troppo alti e molto difficili da sostenere a medio termine. Il personale è stremato e la qualità delle cure è a rischio. In secondo luogo, non possiamo abituarci a 50 morti alla settimana quando è in arrivo un vaccino che può salvarne la maggioranza; è il momento di stringere i denti. E infine, la questione della responsabilità individuale, sulla quale abbiamo sempre creduto: i tentativi hanno funzionato solo a metà». Tra le situazioni su cui riflettere, aggiunge, andrebbe inclusa anche quella delle scuole post-obbligatorie.
«Una luce ora c'è» - La grande differenza fra questa seconda ondata e quella della primavera dello scorso anno è legata al vaccino. «Una luce ora c'è. La priorità è quella di mettere in sicurezza le persone a rischio, così che possano avere il tempo di poter approfittare del vaccino». E sulla disponibilità delle dosi, non risparmia però un'osservazione a Berna: «Il Ticino è pronto, ma se i vaccini non arrivano... Forse la Confederazione poteva essere più lungimirante nelle ordinazioni. E speriamo tutti nell'approvazione da parte di Swissmedic del vaccino di Moderna in questi giorni».