Maria ha una laurea come odontoiatra ottenuta in Argentina. Da quando si è trasferita in Ticino, per lei è un incubo
«Non mi permettono di uscire da questa condizione», denuncia. La risposta dell'Ussi: «Il nostro intervento è provvisorio».
LUGANO - «Mi chiamo Maria, sono cittadina svizzera, mio padre e i miei due nonni paterni erano cittadini svizzeri». Inizia così il racconto della 37enne di Lugano, che ha deciso di rendere pubblica la sua storia perché esasperata dalla situazione in cui si trova: dipendente dall’assistente sociale, senza alcuna possibilità di uscita.
Dall’Argentina a Lugano per ripartire - Maria è nata in Argentina, dove ha studiato e si è laureata come odontoiatra. Poi è entrata in marina, dove ha ottenuto il grado di tenente. Dopo l’esplosione del sottomarino ARA San Juan nel novembre 2017 e la morte dei 44 colleghi a bordo, ha deciso di cambiare vita. Ha lasciato tutto e ha raggiunto la Svizzera. Ma la sua idea di rifarsi una vita si è scontrata con la burocrazia. E, seppur grata per il sostegno economico che le consente di vivere, Maria ora punta il dito contro l’Ufficio del sostegno sociale e dell’inserimento (Ussi).
Informazioni sbagliate - «Ho solo una paura: dover continuare ancora a lungo a vivere e sopravvivere senza lavorare - si sfoga la donna -. Da quando sono arrivata in Ticino, nell’aprile del 2018, mi sembra che non mi si voglia davvero aiutare a uscire dalla dipendenza dell’assistenza». In particolare, Maria è arrabbiata per le informazioni errate che le sarebbero state date in merito al riconoscimento dei titoli di studio e ai passi da compiere per ottenere l’equipollenza (equiparazione di un titolo di studio estero a un corrispondente titolo svizzero). Stando alla donna, all'Ussi le avrebbero spiegato che doveva imparare l'italiano e trovare un dentista da cui esercitare sotto supervisione per un periodo. Una procedura valida negli altri cantoni della Svizzera (dove però si parla francese o tedesco). «Ho perso due anni senza ottenere nulla. Tutti i miei sforzi sono risultati vani. Che dovrei fare? Trasferirmi e ricominciare da capo con una nuova lingua?».
Il lavoro c’è, ma non possono assumerla - Il colmo è che Maria ha trovato ben due dentisti disposti ad assumerla, ma senza l’equipollenza della laurea non è ovviamente possibile. Anche la Croce Verde aveva mostrato interesse in una sua collaborazione. «Tutti posti che ho trovato con le mie forze. Ma non posso lavorare. E ora mi sono rivolta a un avvocato, che mi aiuta gratuitamente, per capire quali sono i passi giusti da compiere per avere il riconoscimento dei miei titoli di studio, ma ci vorrà altro tempo. Chi mi ridarà gli anni persi senza indipendenza?».
«L’intervento dell’Ussi è provvisorio» - La 37enne prova tanta amarezza. «Mi è pure stato detto “stai tranquilla, se tuo nonno è svizzero puoi restare in assistenza a vita”», racconta. Parole smentite dal direttore della Divisione dell’azione sociale e delle famiglie, Gabriele Fattorini: «Le prestazioni assistenziali sono erogate per garantire il minimo esistenziale a persone che si trovano in uno stato di bisogno. Il nostro intervento è da intendersi provvisorio, per risolvere una situazione di disagio temporaneo. A prova di ciò l’Ussi propone in modo sempre più intenso misure di reinserimento sociale e professionale così da migliorare la condizione di vita sociale e lavorativa con l’obiettivo di rendere autonomo il beneficiario di prestazioni il prima possibile». Fattorini inoltre precisa che non è l’Ussi l’organo competente in materia di valutazione sull’equivalenza dei diplomi esteri e spetta alla persona interessata trovare le informazioni dagli organi preposti.
Il funzionario non lo scegli tu - Maria, però, non ci sta. Spiega che oltre ad avere ricevuto informazioni errate, avrebbe più volte avuto problemi con la funzionaria incaricata di occuparsi del suo dossier. Non solo per la gestione del caso, ma anche a livello personale e umano. «Ho chiesto molte volte di essere assegnata a un altro collaboratore dell’Ussi, invano. Mi è stato pure risposto che se voglio questo, devo cambiare cantone». La situazione, a livello di rapporto tra le parti, appare insostenibile dal racconto della 37enne. Ma questo non basta. «I collaboratori si occupano dei casi di assistenza a livello regionale - spiega la capoufficio dell’Ussi, Francesca Chiesa -. Riceviamo richieste di questo tipo quasi settimanalmente e con il carico di lavoro che abbiamo, non possiamo considerare i singoli casi, a meno che la situazione non appaia gravissima». In passato, infatti, ci sono stati degli interventi in tal senso, ma «con la ridefinizione totale della zona di competenza dell’operatore di riferimento».
«Le cose possono essere migliorate» - Insomma, quella di Maria sembra davvero una situazione senza uscita. Ma lei, a 37 anni, non è disposta a rassegnarsi. Ha intenzione di ottenere il riconoscimento della sua professione e di trovare un lavoro per costruirsi un futuro nel nostro cantone, anche se deve ripartire da capo. E conclude: «So che ci sono altre persone che si trovano nella mia stessa situazione e io non ho paura a metterci la faccia. Ci sono cose su cui si deve intervenire per migliorarle».
I beneficiari di prestazioni sociali in Ticino
A fine settembre 2020 erano 5'265 le unità di riferimento (nuclei familiari) beneficiarie di prestazioni di assistenza sociale, per un totale di 7'973 persone. La maggioranza (73%) erano persone solo. È quanto emerge dai dati forniti dal Consiglio di Stato in risposta a un'interrogazione presentata lo scorso ottobre da Massimiliano Robbiani (in allegato). Delle 7'973 persone con prestazioni di assistenza sociale nel mese di settembre 2020, 952 hanno richiesto la prestazione nel corso del 2020 (11,9%).