Pandemia e tecnologia: un binomio che ha messo in luce potenzialità e punti critici legati al rapido sviluppo digitale.
LUGANO - Alessandro Trivilini, responsabile del Servizio informatica forense alla SUPSI presso il dipartimento delle tecnologie innovative, illustra come il successo o il fallimento di queste ultime dipenda dalla capacità di costruirvi intorno un nuovo sistema di valori che venga accettato e interiorizzato dagli utenti.
Perché certe tecnologie hanno avuto più successo?
«Per una questione di utilità e fiducia. Le applicazioni che andavano a soddisfare delle necessità in un periodo di forti limitazioni sono state assiduamente ricercate dalle persone, permettendo loro di continuare a vivere la propria quotidianità in termini di relazioni, approvvigionamento, sicurezza, comunicazione e lavoro».
Esempio?
«Si pensi al trionfo di tutti i sistemi di videoconferenza che, insieme ad altri considerati di primaria utilità, sono stati scaricati proprio per rispondere a bisogni non più appagabili in altri modi. Queste tecnologie hanno trovato una collocazione fisiologica precisa e importante nella nostra routine, facendocele riconoscere automaticamente come portatrici di un sistema di valori. Fiducia e trasparenza hanno prevalso sulla preoccupazione che i nostri dati fossero invece raccolti, condivisi o spiati».
Quali tecnologie hanno fallito?
«Quelle che, per l’appunto, non sono state in grado di comunicare un sistema di valori condiviso. Le app di tracciamento, come SwissCovid, sono l’esempio più evidente. Nonostante fossero costruite con l’obiettivo di salvaguardare la salute, si sono arenate in tutto l’occidente. Le persone hanno improvvisamente cominciato a rifuggirne, in preda alla diffidenza».
Il motivo?
«In occidente non c’è mai stata un’applicazione di Stato. Sono state le istituzioni a fare la richiesta, talvolta percepita come imposizione improvvisa, di installare un’app per ottenere dati a scopo di prevenzione. Paradossalmente, questa era più utile rispetto ad altre ampiamente accettate, ma non è stata compresa dalla maggior parte dei cittadini. Il sistema di valori non era pronto e non è stato diffuso e integrato nella nostra quotidianità in modo opportuno. Sono situazioni che fanno parte del processo di sviluppo, soprattutto se di ampia portata sociale. Le persone avranno bisogno di queste tecnologie e potranno avvicinarvisi in tempi e modi giusti grazie a un nuovo sistema di valori che arriverà».
Il futuro di queste app?
«Individui, aziende e istituzioni hanno dovuto reagire velocemente e adattarsi alle strette tempistiche dettate dall’emergenza. Tuttavia, bisogna fare tesoro di questa esperienza per preparare un piano di alfabetizzazione digitale senza precedenti, che includa gli aspetti di funzionalità e gli scopi di utilizzo in termini di responsabilità e di comportamento unitario di fronte al rischio, in cui il digitale può contribuire a tutelarci. La questione sulla privacy è stata risolta molto bene, ora bisogna preparare i cittadini a comprenderne il valore, dando loro tempi e mezzi necessari per integrarla nella propria quotidianità, senza imposizioni».
«Non solo tecnologia, viviamo in anni sociali»
Secondo Trivilini il flop dell’inedito esperimento delle app di Stato insegna una lezione importante: «È stato utile per capire che le nuove applicazioni che nasceranno potranno essere accettate e avere successo soltanto nel momento in cui il sistema di valori che le caratterizza, ossia le regole, la fiducia e la trasparenza, è ben comunicato ai cittadini. Non si tratta di un manuale d’uso ma di un manifesto di consapevolezza di cui le persone devono sentirsi parte. Questo decennio non è più solo tecnologico, bensì sociale», afferma l’ingegnere.
Questo è ancora più vero per le iniziative provenienti dalle istituzioni, spesso percepite come invasive: «Il trionfo di una tecnologia si avrà nel momento in cui verrà compresa e integrata nella realtà dei singoli. Diversamente, resta solo la diffidenza, nata dalla scarsa preparazione, che può condurre, in ultimo, al fallimento comune», conclude Trivilini.