Lo storico Binaghi riflette sul dibattito pubblico avvelenato da quei candidati che rimpiangono le dittature del '900
«I totalitarismi non sono stati un intermezzo della storia. Per non ricaderci è fondamentale sapere che certi fenomeni emergono in periodi di crisi»
LUGANO - Propaganda nazi-fascista in salsa comunale. È il piatto intossicato servito al pubblico da due candidati, subito espulsi dalle rispettive cucine partitiche. Una ha detto, tra le varie aberrazioni, che “Hitler aveva molto a cuore la questione ebraica”; l’altro ha lodato “i valori” di Stalin, Mussolini e Hitler, sotto i quali seppur «con razioni di guerra, tutti mangiavano”.
L’accaduto, secondo lo storico Maurizio Binaghi, presidente dell’Associazione ticinese degli insegnanti di storia e docente al Liceo 1, si presta a una riflessione su tre piani. «C’è il piano politico, in cui non mi addentro, ma poi c’è la riflessione sui due discorsi, molto diversi tra loro, e sulla storia».
Partiamo dall’analisi delle due menzogne…
«I due discorsi hanno una matrice simile, ma sono differenti. Quello della candidata è il classico negazionismo che si copre di una certa intellettualità. Il suo scopo è quello d'insinuare il dubbio, sminuendo la Shoah, interpretandola come uno dei tanti crimini di guerra commessi. Non è un negazionismo ignorante ed è, secondo me, il più pericoloso. Non è inoltre collegato alla pandemia».
Il secondo discorso non sfigurerebbe nel libro di Francesco Filippi “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”. O no?
«Si tratta indubbiamente di un discorso di pancia, con l’utilizzo di un linguaggio da propaganda totalitaria. Troviamo l’uso del termine “zecca” che riprende in modo preoccupante il linguaggio antisemita degli anni Trenta. Ma poi c’è anche il richiamo allo Stato forte contro la casta e al colpo di Stato. Si tratta, secondo me, di un discorso latente che la pandemia ha fatto emergere in maniera molto forte con i richiami alla guerra e le ripetute metafore militari. È una propaganda occulta che ritorna nei momenti di crisi quasi in forma incosciente, a differenza del primo tipo di negazionismo».
Infatti la candidata non si è scusata, mentre il secondo ha fatto un’imbarazzata retromarcia. Le crisi portano a sognare l’uomo della provvidenza?
«Direi che le crisi portano con sé un forte grado d'incertezza che conduce alla ricerca di soluzioni semplici e risolutive. Ci si richiama così a un governo forte, ma ci si spinge anche alla ricerca di colpevoli, individuati vuoi nella casta e vuoi nel nemico interno. Entrambi i discorsi si rifanno a un linguaggio molto pericoloso usato purtroppo altre volte nel passato e quindi arriviamo alla riflessione sulla storia».
Cosa si può dire a tal proposito?
«C’è un utilizzo pubblico della storia molto preoccupante».
L’aspetto, forse, positivo è che tali negazionismi non arrivano da giovani studenti. È un’ignoranza antica...
«Io mi preoccuperei di più invece. Perché queste persone non hanno l’alibi di essere in una fase di sviluppo della loro personalità. Dal punto di vista della storia, invece, sono fondamentali alcune cose. La prima è che anche la Svizzera non ha fatto completamente i conti con il Novecento. Si pensi a chi ancora nega i risultati della Commissione Bergier. Ciò che permette anche l’emergere di un analfabetismo storico».
La storia può essere insegnata in maniera obiettiva?
«Il contesto del suo insegnamento è ben chiaro. La storia in uno Stato repubblicano e democratico ha la Costituzione come elemento fondante e dei principi, come quelli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che vanno sempre tenuti presenti. È la base su cui il discorso storico può avere senso. La democrazia è una conquista preziosa, ma è anche fragile».
Un aspetto che colpisce dei negazionisti è l’assoluta indifferenza e apatia per le vittime dei totalitarismi.
«Nel discorso della candidata c’è di più. Perché si vuole far passare le vittime come complici e co-colpevoli. Ciò che è gravissimo».
In conclusione, sono trascorsi oltre 70 anni dalla fine degli orrori dei totalitarismi, la società odierna possiede ancora gli anticorpi contro questo Male assoluto?
«C’è un’interpretazione di nazismo, fascismo, ma anche di comunismo, come intermezzo della storia. Certo sono situazioni che verosimilmente non torneranno, perché la società ha gli antidoti e gli anticorpi, ma occorre rendersi conto che l’humus da cui sono emersi i movimenti totalitari è parte integrante della nostra storia. Ecco perché è fondamentale che la storia insegni che i totalitarismi non sono stati un’eccezione e che certi fenomeni emergono in periodo di crisi. Per non ricaderci».