Timori per le masse che non rispettano più le norme anti Covid. Intervista alla psicoterapeuta Giulia Raiteri.
La specialista è stata ospite di Piazza Ticino: «Parlare di disordini mi fa sorridere. La popolazione trasgredisce come se non avesse altra soluzione, come se fosse arrivata a un limite di sopportazione».
LUGANO - Preoccupazione un po' in tutta la Svizzera per le norme anti Covid-19 che non vengono più rispettate. Da Lugano a San Gallo, passando per Zurigo, la situazione è più o meno la stessa. La polizia è costretta a scendere a compromessi con la massa. In vista dei prossimi weekend la tensione è alta. Così come la paura di disordini. «Parlare di disordini mi fa sorridere – sostiene Giulia Raiteri, psicoterapeuta intervenuta su piazzaticino.ch –. "Disordini" è un termine da associare a situazioni di protesta puntuali. La gente, dal mio punto di vista, trasgredisce come se non avesse altra soluzione, come se fosse arrivata a un limite di sopportazione».
Quando c'è una parte così grande della popolazione che ignora la legge, ci si trova in difficoltà. Così si è espressa la polizia di Lugano di recente. Cosa ne pensa?
«La pandemia va avanti da più di un anno. C'è un'aggressività che sale progressivamente. Per un lungo periodo la gente è stata scioccata, spaventata, sbalordita di fronte a quello che stava succedendo. Si è poi innestata una sorta di tristezza profonda, mai sfogata, che ora si sta trasformando in aggressività».
Tutto questo si poteva prevedere?
«In questi mesi si è parlato tanto della salute fisica. Troppo poco degli effetti psicologici di questa condizione. Noi psicoterapeuti non abbiamo più buchi nelle nostre agende. Siamo molto sollecitati. Aumentano gli aspetti di matrice depressiva, ansiosa. Chi aveva disagio psichico in precedenza si è aggravato».
Secondo molti c'è troppo caos. E questo farebbe innescare ulteriore frustrazione e rabbia.
«A livello di comunicazione c'è davvero tanta confusione. Si dice tutto e il contrario di tutto. Siamo in difficoltà nel capire quello che sta accadendo. Si è creato uno stato di paura, dovuto anche al fatto di non avere una prospettiva».
L'invito delle autorità sanitarie è quello di tenere duro ancora un po'. Ha un senso?
«A questo punto si devono cercare le vie di mezzo. "Non fare" sarebbe problematico. Si può "fare", ma nel modo giusto. Ad esempio ci si può vedere, facendo prima il tampone rapido. Non vorrei comunque essere nei politici che devono prendere determinate decisioni. Quello che sta capitando è qualcosa di non prevedibile».
C'è chi accusa di egoismo le persone che si assembrano...
«No, non è egoismo. È una necessità. I giovani sono sicuramente quelli più in crisi. Non solo per le esperienze che non stanno facendo. Per un adolescente spesso il "bisogno" è qualcosa d'impellente. E in questo periodo non si può fare ciò che si vuole».
Dal punto di vista della salute mentale il conto che dovremo pagare sarà salato?
«Da questa esperienza potremo trarre un'occasione di crescita personale e sociale. Però si notano anche altri aspetti. Il senso di solitudine di molte persone, coppie che scoppiano, ragazzi senza relazioni. Queste sono ferite che ci porteremo dietro. Poi arriveranno anche le cicatrici, certo».