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AIROLO/LUGANOIn quattro in ospedale, una famiglia piegata dal virus

04.05.21 - 06:02
Le testimonianze di un calvario vissuto insieme: «In paese qualcuno mi aveva dato per morto».
Tio/20minuti
I coniugi Flavio e Anna Marchetti
I coniugi Flavio e Anna Marchetti
In quattro in ospedale, una famiglia piegata dal virus
Le testimonianze di un calvario vissuto insieme: «In paese qualcuno mi aveva dato per morto».
E il segno dell'intubazione sul viso non è ancora andato via.

AIROLO/LUGANO - È la storia di una famiglia passata dentro una bufera, quella di casa Marchetti. Una storia vissuta tra le corsie del reparto Covid della Clinica Luganese Moncucco, cure intense comprese. In bilico tra la vita e la morte, sul filo di lana del virus.

Lo scorso 7 marzo i coniugi airolesi Flavio e Anna, 71enne lui e 75enne lei, vengono entrambi ricoverati a causa del virus. A pochi giorni di distanza, seguono anche due delle loro tre figlie, di 45 e 48 anni. Da quella prima domenica del mese, un tunnel costellato di sofferenza, ansia, ma anche di speranza. 

Le prime avvisaglie - «I sintomi sono comparsi una settimana prima» spiega Flavio, «io e mia moglie avevamo entrambi la febbre alta e tre giorni dopo ci siamo decisi ad andare a fare il tampone». I due si recano al Checkpoint Covid di Pollegio, e mentre Anna risulta subito positiva, il test rileva Flavio come non infetto. Un responso che si sarebbe poi rivelato un falso negativo. 

In ospedale - La sera successiva i problemi respiratori di entrambi, in particolare quelli di Flavio, si aggravano, tanto da richiedere un ricovero alla Moncucco. Da lì, per Flavio, il buio. «Non ho nessun ricordo di quel che è successo, ero incosciente». E i due, spiega Anna, sono costretti a separarsi: «La notte tra il lunedì e il martedì è stata terribile. Era chiaro che Flavio non fosse in sé, e ha iniziato a delirare. Il giorno dopo l’hanno spostato in terapia intensiva e sono rimasta da sola». 

Intubato - Da quel momento, il calvario. Flavio viene messo in coma farmacologico e intubato. E lo sarà per otto lunghi giorni. Di lì a poco, a distanza di due giorni l’una dall’altra, le figlie raggiungono Anna in reparto. «Prima di essere ammessa, la mia prima figlia aveva la febbre a 40 e sveniva di continuo» spiega Anna. Madre e figlia vengono messe nella stessa stanza, e Anna non nasconde quanto questo l’abbia aiutata a livello psicologico: «Ci facevamo forza a vicenda. Non potevamo vedere Flavio, quindi era molto dura. Da regolamento, non potevamo né uscire dalla nostra camera, né tantomeno avere accesso alle cure intense». 

Voci del malaugurio - Nel frattempo, nel comune di residenza di Flavio, qualcuno pensava già fosse deceduto. Mentre si trovava in Clinica, un altro abitante di Airolo ha perso la vita alla Moncucco, spiega, e si è creato un passaparola sbagliato: «La gente ha iniziato a parlare, e i nomi si sono confusi. Ho saputo solo in seguito che c’era chi si era disperato pensando non ci fossi più». 

Il risveglio - Dopo otto giorni, i valori vitali di Flavio sembrano migliorare, e il personale lo risveglia gradualmente. Solo a quel punto viene a sapere che non è l’unico membro della sua famiglia a trovarsi in ospedale, ma che fino a pochi giorni prima erano addirittura in quattro. «Mi sono ritrovato cosciente e mi è caduto il mondo addosso. Non avevo forze, mi tremavano le braccia quando cercavo di afferrare un bicchiere. Non è possibile, mi sono detto, che dopo aver avuto una salute di ferro tutta la vita, la prima volta che mi ammalo devo morire. Piangevo, ma mi sono fatto forza pensando ai miei nipoti e alle tante cose che ancora volevo fare». 

Ritorno alla vita - Nel giro di pochi giorni Flavio riesce a fare un recupero, a detta dei medici, incredibile. I valori dell’ossigeno migliorano in maniera esponenziale, e lui chiede di poter tornare a casa. Il 24 marzo, dopo 18 giorni di convalescenza e soltanto due giorni dopo la moglie e la figlia, viene ufficialmente dimesso. «Prima di andarmene l’infermiera mi ha detto, molto stupita, che ero il primo paziente uscito dalle cure intense a cui non avevano prescritto nessun medicamento da prendere a domicilio». 

Il dopo - Tutto è bene quel che finisce bene. Ma, mentre Anna e le due figlie sono tornate in piena salute, Flavio ammette di sentire ancora su di sé il segno della malattia. Lo si legge nel suo tossire a cadenza costante, nel respiro a tratti affannato mentre parla veloce. Al bordo della bocca, si intravede ancora, vivido, il segno del tubo che per otto giorni gli ha permesso di respirare. 

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COMMENTI
 

pillola rossa 3 anni fa su tio
"Non è possibile, mi sono detto, che dopo aver avuto una salute di ferro tutta la vita, la prima volta che mi ammalo devo morire" non avere mai febbre e non ammalarsi mai non sempre è un segno di salute di ferro. Un sistema immunitario vigile reagisce e mette in atto le difese.

ceresade36@gmail.com 3 anni fa su tio
Ma poveri speriamo che guaruscano ❤
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