Questione ex Macello: il sociologo Sandro Cattacin, ospite di Piazza Ticino, analizza il fenomeno.
«Le città – sostiene – devono essere disposte a sopportare anche questi approcci "diversi", se vogliono progredire». Guarda la video intervista.
LUGANO - Si fa presto a dire autogestione. Ma cosa è un autogestito? Quali sono i suoi ideali? E quali sono i suoi doveri? La vicenda legata all'ex Macello di Lugano, recentemente abbattuto dalle ruspe con un atto di forza delle autorità, riporta il tema d'attualità. Sandro Cattacin, sociologo, lo ha affrontato su Piazza Ticino. «Sono scosso da quanto sta succedendo a Lugano – sostiene –. Sono stati creati tanti problemi e sono state trovate poche soluzioni».
Ci spiega in parole povere il concetto di autogestione?
«Ti trovi in un contesto in cui produci, fai da mangiare, vivi con altri e cerchi di essere in equilibrio con ciò che ti circonda. Un luogo anarchico, ma accogliente per chi si trova ai margini della società. Solidale e creativo. Si mangiano prodotti locali, si evitano gli sprechi».
Come si finanziano questi luoghi autogestiti?
«C'è il piccolo bar, ci sono eventi culturali. Il ricavato viene poi usato per la collettività. È un modello che ritroviamo in tante realtà urbane. Ed è interessante constatare che ci sono altri modi di vivere rispetto a quelli classici. Le città, d'altra parte, non sono più vivibili dal punto di vista finanziario se non si trovano altri modelli più sostenibili».
Qualcuno pensa che gli autogestiti siano solo persone che vogliono farsi mantenere.
«Pregiudizi. Legati ai timori di un luogo che non si conosce. In realtà in questi posti si sperimentano nuovi stili di vita. Sono sovente abitati da persone innovative che magari un giorno faranno poi parte delle istituzioni, dando un contributo importante. Lo spazio non controllato fa paura. Permettere che esistano luoghi liberi, in cui si possano rompere gli schemi, può aiutare a creare una società migliore».
Chiunque può diventare un autogestito?
«Sì. Riducendo la propria quotidianità al minimo vitale. E azzerando consumi e sprechi. Pensiamo all'automobile, che potrebbe essere sostituita dalla bicicletta. O aggiustata al posto di essere cambiata. Le città devono essere disposte a sopportare anche questi approcci "diversi", se vogliono progredire. A Lugano l'intervento dello scorso weekend è stato sproporzionato».
Però i molinari non hanno mai voluto il dialogo. Né con le autorità, né con i media. Hanno anche loro grosse responsabilità. O no?
«Questi movimenti per comunicare di solito non passano dalla politica e nemmeno dai media. L'individuo passa da sé stesso. Facendo, anziché parlando. È chiaro che a questo livello la mediazione da parte di persone competenti e senza secondi fini è fondamentale».
Togliamoci un dubbio: un autogestito ha degli obblighi verso la società, verso lo Stato, verso un locatario, come qualsiasi altro cittadino?
«Certo che li ha. Il fatto è che queste persone hanno altri codici di comunicazione che non sempre vengono compresi».
Non sarebbe più semplice che chi sogna l'autogestione si compri un terreno per poi sentirsi libero di fare ciò che vuole?
«La filosofia non è questa. Si occupano solitamente luoghi urbani in disuso, per poi dare spazio a una nuova cultura, a un nuovo ordine delle cose. Le città sostengono economicamente spazi culturali autorizzati. Perché, con altrettanta serenità, non fare in modo che ci siano luoghi aperti all'autogestione?»
Cosa deve fare ora Lugano?
«Deve decidere se vuole essere una città o un paesotto di provincia. Io credo molto nella "città Ticino". Così come spero che nei prossimi giorni si trovi finalmente una soluzione».