Il Consiglio federale autorizza l'apertura di piscine, bagni termali e centri benessere. Ma non dei parchi acquatici.
La ragione? C'è troppo movimento e la gente, divertendosi, si dimentica del virus. Argomentazioni che non convincono la direttrice dello Splash&Spa Anna Celio Cattaneo: «Perché l'anno scorso sì e quest'anno no?».
MONTECENERI - Contrariamente alle piscine (interne ed esterne), ai bagni termali e ai centri benessere, il Consiglio federale ha deciso di non autorizzare per il momento la riapertura dei parchi acquatici. Attrazioni turistiche come l’Alpamare (SZ), Bernaqua (BE) o Aquaparc (VS) sono tuttora chiuse e anche lo Splash&Spa di Rivera ha dovuto limitare notevolmente l’offerta.
Incomprensione e delusione - Dopo aver potuto riaprire la zona fitness e l’area massaggio all’inizio di maggio, lo scorso lunedì 31 è stata la volta della Spa: saune, bagni turchi e altre attrazioni sono di nuovo agibili. Così non è, però, per l’area Splash che comprende le vasche, il poolbar e gli scivoli. «È una differenziazione che proprio non comprendiamo, siamo delusi», spiega la direttrice Anna Celio Cattaneo. Anche perché - aggiunge - parliamo di un ambiente di dimensioni notevoli, in cui è presente il cloro, che è il disinfettante numero uno, e in cui c’è un sistema di aerazione moderno».
Più restrizioni dello scorso anno - L’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) ha motivato questa distinzione con il fatto che in un parco acquatico c’è molto più movimento, più sforzo fisico e dunque più emissioni di aerosol. Insomma: nelle aree Spa ci si rilassa, nelle normali piscine si fa sport, mentre in quelle dei parchi ci si diverte e ci si dimentica del virus. Eppure questa limitazione lo scorso anno non c’era: «Avevamo riaperto l’intero centro il 6 giugno e le restrizioni erano decisamente minori. E questo nonostante una situazione epidemiologica peggiore di quella di quest’anno, senza i vaccini a disposizione e con la gente che ancora faticava a capire l’importanza della mascherina», conferma Anna Celio Cattaneo. Nella struttura il piano di protezione prevedeva inoltre un minimo di 10 m2 a persona, divenuti ora 15m2.
Più uscite e meno entrate - La delusione è grande perché, oltre all’incredulità per la decisione, sono stati fatti innumerevoli sforzi nell’ultimo anno per adattarsi di volta in volta alle disposizioni delle autorità. Con conseguenze non indifferenti. «Ogni nuovo piano di protezione rappresenta per noi un investimento in termini di tempo e risorse. Occorre formare i collaboratori, informare i clienti sui cambiamenti, ecc». Senza dimenticare che la parte “Splash” rappresenta l’attività principale della struttura che si trova ai piedi del Tamaro. Non quella "Spa", che oltretutto viene apprezzata maggiormente nei mesi invernali.
Con l'acqua alla gola - Se ai costi lievitati aggiungiamo una capacità ridotta di circa il 40% anche per l'unica area che ha potuto essere riaperta, capiamo subito che a livello finanziario la situazione non è delle più rosee. E questo nonostante un primo aiuto giunto dalla Confederazione nelle scorse settimane (caso di rigore). «È sicuramente importante, ma non è sufficiente perché come struttura abbiamo dei costi fissi altissimi. Abbiamo anche usufruito dei prestiti Covid, ma prima o poi questi soldi andranno restituiti», illustra ancora la nostra interlocutrice.
Il cui pensiero, infine, va anche all’ottantina di impiegati del centro balneare. Diversi dei quali è da oltre un anno che non lavorano, visto che non si tengono più eventi: «Usufruiscono del lavoro ridotto, certo, ma vivere per un anno con l’80% del proprio stipendio non è per nulla evidente». La speranza a Rivera è quindi che tutti questi ostacoli scorrano via al più presto. In modo che ci si possa rituffare nella normalità.