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LUGANOÈ positivo al Covid: e il suo numero finisce (senza permesso) agli esperti

11.06.21 - 06:29
Il caso di un 40enne luganese riapre il dibattito sulla tutela della privacy in tempo di pandemia.
Ti-Press (archivio)
È positivo al Covid: e il suo numero finisce (senza permesso) agli esperti
Il caso di un 40enne luganese riapre il dibattito sulla tutela della privacy in tempo di pandemia.
A contattarlo, i responsabili di due grandi studi sul coronavirus. Ma chi ha dato loro il suo recapito? Claudio Camponovo, responsabile del check point del Conza: «C'è stato un errore. Ma vi spiego perché potete stare tranquilli».

LUGANO - Positivo al coronavirus e il suo numero di cellulare viene divulgato a terzi senza alcuna autorizzazione. È accaduto di recente a un 40enne del Luganese. Dopo il tampone, risultato positivo, effettuato al Conza, è stato contattato sia dall'Epatocentro sia dal Cardiocentro. «Volevano chiedermi se volessi partecipare a degli studi inerenti il Covid. Al di là della mia risposta, la domanda chiave è: chi ha dato a queste persone i miei riferimenti?»

La busta – Il tema della protezione della privacy torna periodicamente d'attualità da quando è iniziata la pandemia. Il 40enne in questione si dimostra parecchio irritato: «Prima di fare il tampone, mi è stata consegnata una busta. Da aprire solo in caso di positività al Covid. L'ho dunque aperta. E nella lettera si accennava all'eventualità di un mio coinvolgimento in uno studio. Non essendo interessato, ho buttato il tutto». 

«Episodio vergognoso» – Nei giorni successivi però arriveranno le due telefonate. Da due strutture sanitarie ben distinte. «Voglio precisare che io al Conza non ho firmato alcun documento che consentisse la divulgazione dei miei dati personali ad altri enti. Le due persone che mi hanno chiamato sono state gentili, assolutamente. Ma trovo vergognoso che fossero in possesso del mio numero di telefono privato. Capisco la situazione pandemica e la necessità di coinvolgere e responsabilizzare i cittadini, ma a tutto c'è un limite». 

«Errore di comunicazione» – Quanto accaduto al 40enne sarebbe capitato anche ad altre persone. «Sicuramente c'è stato un errore di comunicazione – ammette Claudio Camponovo, medico e responsabile del check point di Lugano –. Sono in corso due importantissimi studi sul Covid. Il medico di turno al checkpoint dovrebbe sempre chiedere alla persona che ha fatto il test se è d'accordo che i suoi dati vengano trasmessi a terzi. Di solito funziona così. Evidentemente in alcuni casi questo dettaglio fondamentale è stato sottovalutato. Va pur sempre ricordato che effettuiamo un centinaio di tamponi al giorno. Circa 12.000 da quando è iniziata la pandemia». 

«Nulla di cui preoccuparsi» – Camponovo non si nasconde. Ma tranquillizza comunque la popolazione. «I due studi clinici in questione sono accettati e autorizzati dal comitato etico cantonale. Solo un piccolo gruppo di persone è a conoscenza dei dati e dei contatti personali dei pazienti. Non c'è nulla di cui preoccuparsi dunque. Certo, sarebbe magari più ottimale fare firmare una delibera al momento in cui il paziente si presenta al checkpoint, prima del test. Ma si rischierebbe di creare inutili code. Non ci sembrava il caso». 

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