Dalle nostre Alpi giungono nuove ipotesi sull’evoluzione della vita sulla Terra.
Dei batteri rinvenuti nel lago rappresentano un sistema «simile» all'oceano Proterozoico.
QUINTO - Comprendere l'evoluzione della vita sulla Terra partendo da un laghetto leventinese. È quanto hanno fatto i ricercatori del Max Planck Institute di Brema, della SUPSI, dell’Istituto Federale Svizzero di Scienza e Tecnologia dell’Acqua (EAWAG) e del Politecnico Federale di Zurigo (ETHZ) al Cadagno. Uno sforzo premiato dalla pubblicazione integrale sul Nature Communications.
«Ecosistema unico» - Le caratteristiche oltremodo «speciali» del Lago di Cadagno sono da tempo conosciute dai ricercatori della SUPSI che collaborano con il Centro Biologia Alpina di Piora. «Il lago è infatti costituito da due strati distinti e sovrapposti che lo rendono un ecosistema unico ed estremamente prezioso», spiega il direttore dell'Istituto di microbiologia Mauro Tonolla. Lo strato superiore riceve acque cristalline dallo scioglimento delle nevi, mentre lo strato inferiore è alimentato da sorgenti sottolacustri che lo arricchiscono di sali minerali quali zolfo, calcio, carbonato, magnesio.
«I due strati d’acqua non si mescolano», chiarisce Raffaele Peduzzi, presidente della Fondazione Centro Biologia Alpina, «grazie alla differenza di densità, determinando una stratificazione stabile del lago, anche definita come meromissi creogenica». Nella parte superiore troviamo ossigeno, ma poche sostanze nutritive, mentre lo strato inferiore è anossico e ricco di solfuro. Fra i due strati ve n’è uno intermedio, chiamato chemoclino, caratterizzato dalla compresenza di piccole quantità di ossigeno e di solfuro. È qui che troviamo i protagonisti di questa scoperta, ovvero i solfobatteri purpurei fototrofi.
«Una vera sorpresa» - «Per la prima volta abbiamo avuto la prova diretta che questi microrganismi, che compiono la fotosintesi anaerobica ossidando il solfuro, fissano anche l'azoto in modo molto efficiente», spiega Nicola Storelli, ricercatore dell’Istituto di microbiologia della SUPSI e uno degli autori della pubblicazione su Nature Communications. Ciò significa che questi batteri sono in grado di convertire l'azoto gassoso in composti azotati che possono essere poi utilizzati anche da tutti gli altri organismi viventi. Per questa reazione essi usano l'enzima molibdeno-ferro nitrogenasi (MoFe, nif), considerato il più efficace presente in natura. «La vera sorpresa è stata quella di constatare che nonostante la bassa concentrazione di molibdeno nel Lago di Cadagno - proprio come nell'oceano Proterozoico - questo enzima è ugualmente attivo», conclude il ricercatore.
Un modello per l'evoluzione - Per lungo tempo è stato ipotizzato che fossero i più evoluti cianobatteri, avendo altre forme di nitrogenasi senza molibdeno, i principali responsabili di questa attività che ha reso disponibile l'azoto alla biosfera del nostro pianeta. Ora però questa ricerca dimostra che i solfobatteri purpurei, metabolicamente più antichi dei cianobatteri, potrebbero in effetti aver contribuito in modo sostanziale alla fissazione dell'azoto negli oceani della Terra primordiale (da 2.5 miliardi a 541 milioni di anni fa). Il Lago di Cadagno e questi batteri rappresentano dunque un sistema del tutto simile all'oceano Proterozoico e fungono da modello per saperne di più sui processi biogeochimici della Terra primordiale.